martedì 18 dicembre 2018
Secondo Reporters Sans Frontières l'odio di politici e leader religiosi, moltiplicato dai social network, indebolisce il giornalismo e con esso la democrazia. Cina maglia nera, salgono anche gli Usa
Un'immagine del reporter saudita Jamal Khashoggi, ucciso nel consolato del suo Paese a Istanbul (Ansa)

Un'immagine del reporter saudita Jamal Khashoggi, ucciso nel consolato del suo Paese a Istanbul (Ansa)

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Ottanta giornalisti sono stati uccisi nel mondo nel 2018, 348 sono incarcerati e 60 tenuti in ostaggio. I dati emergono dal rapporto di Reporters Sans Frontières (Rsf), che imputa l'aggravamento della situazione anche "all'odio" che viene "a volte molto apertamente proclamato da politici irresponsabili, leader religiosi e imprenditori" e che viene "moltiplicato dai social network, che a questo proposito hanno pesanti responsabilità”, indebolendo anche “il giornalismo e con esso la democrazia". Il rapporto è stato pubblicato a meno di tre mesi dall'omicidio del reporter saudita Jamal Khashoggi, assassinato nel consolato del suo Paese a Istanbul, poi nominato "Persona dell'anno" dal settimanale Time assieme agli altri giornalisti in pericolo. "La violenza contro i giornalisti ha raggiunto livelli senza precedenti quest'anno, la situazione ora è critica", ha dichiarato il presidente di Rsf, Christophe Deloire.

"Le espressioni di odio legittimano la violenza, quindi minano il giornalismo e la democrazia in sé", ha aggiunto Deloire, senza puntare esplicitamente il dito ma lasciando pensare al modo in cui il presidente Usa Donald Trump etichetta spesso i reporter come "nemici del popolo". Gli Stati Uniti sono diventati il quinto Paese per numero di giornalisti uccisi (al pari con l'India e dopo lo Yemen), dopo l'uccisione di cinque persone al Capital Gazette in Maryland a giugno. L'Afghanistan è il Paese più pericoloso, con 15 giornalisti uccisi, seguito dalla Siria con 11 e dal Messico con 9. Più della metà dei reporter è stata uccisa deliberatamente, mentre il numero dei non professionisti morti è raddoppiato da 7 a 13 in un anno. Il bilancio globale non include i 10 decessi che secondo Rsf sono ancora sotto indagine.

"Omicidi, incarceramenti, sequestri, sparizioni forzate, tutti sono aumentati", ha aggiunto Deloire, mentre il bilancio dei professionisti morti è salito del 15%, dopo tre anni di continuo calo: "I giornalisti non sono mai stati soggetti a così tanta violenza e abusi come nel 2018". La Cina rimane il Paese che più incarcera i giornalisti, con 60 reporter dietro le sbarre, 46 dei quali blogger non professionisti, alcuni detenuti in "condizioni disumane per niente più di un post sui social media". Il rapporto condanna anche "il regime dispotico della Turchia" per i "processi kafkiani in cui i reporter sono accusati di terrorismo sulla base di una singola parola o un contatto telefonico". Con 33 giornalisti in cella, la Turchia ha il maggior numero di professionisti incarcerati al mondo. E la condanna di tre reporter di 65, 68 e 74 anni all'ergastolo, "nella peggior forma di isolamento, senza possibilità di rilascio temporaneo o grazie" è disumana, per l'organizzazione.

Protagonisti della lista nera anche Egitto e Iran, rispettivamente con 38 e 28 giornalisti e blogger in prigione. Rsf ha poi criticato l'Egitto per l'opacità del suo sistema giudiziario militare, sottolineando che 30 giornalisti in carcere non sono stati processati e che altri restano in cella nonostante i tribunali abbiano ordinato il loro rilascio.

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