sabato 23 dicembre 2017
A Sant Vivenç, la città dell’ex numero due della Generalitat, trionfa il colore degli anti-secessionisti Inés Arrimada: «Come abbiamo fatto? Con la coerenza»
Viaggio dove l'arancio-Ciutadans ha oscurato il giallo-indipendenza
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Sono in ritardo. L’abete, nella Plaça de la Vila, di fronte al municipio, sarebbe dovuto essere già pronto. Le elezioni, però, hanno stravolto il calendario degli addobbi. Chiuse le urne, ora, gli operai recuperano, agghindando, un ramo dopo l’altro, con fiocchi e coccarde. Tutti giallo- oro. Un colore tipico del Natale. Ma anche la tinta scelta dagli indipendentisti in segno di solidarietà con i loro leader arrestati. Probabilmente è solo un caso. Anche se in cella, con l’accusa di leader di sedizione e ribellione, c’è uno dei cittadini più illustri di Sant Vivenç dels Horts, Comune di 28mila abitanti alla periferia di Barcellona. Quell’Oriol Junqueras che l’ha amministrata dal 2011 alla fine del 2015, prima di lasciare la poltrona di sindaco a Maite Aymerich, sua stretta collaboratrice e assessore alla Cultura, solidarietà e cooperazione. «In realtà, sarebbe più coerente con il momento politico adornare l’albero con decorazioni arancione», dice un passante. Non ha tutti i torti. Anche la piccola Sant Vivenç – cittadina operaia che con Junqueras era passata dal socialismo atavico al nazionalismo repubblicano – si è lasciata sedurre da Ciutadans (costola catalana di Ciudadanos). Lo stesso è accaduto a L’Hospitalet o San Feliu de Llobregat. Perfino a Santa Coloma de Gramenet, feudo storico del Partido socialista de Catalunya (Psc) nel dopo-Franco. «Fino a due anni fa, qui non avevamo nemmeno rappresentanza in municipio – spiega Dimas Gragera, neoeletto deputato al Parlament (Assemblea regionale) –. E ora abbiamo preso oltre 21mila voti, il 35 per cento. Perché siamo la forza più adatta per far progredire la regione».

Insomma, dal 21 dicembre, «el cinturón rojo», la cintura urbana ostinatamente di sinistra, s’è tinta di arancione, il colore simbolo di Ciutadans. Artefici della metamorfosi cromatica molti “astensionisti di lungo corso” che hanno affollato le urne, per fermare il procès, il processo indipendentista. Risultato: la formazione moderata, liberale e riformista è primo partito in 19 comuni su 22 dell’area metropolitana di Barcellona, dal Baix de Llobregat a Barcelonès, nel Vallès Oriental e Occidental. Oltre che nella capitale. E nel resto della regione ribelle, dove ha ottenuto 1,1 milioni di voti. «Come abbiamo fatto? Con la coerenza », ha risposto la combattiva leader, Inés Arrimadas, ad Avvenire, al termine dell’affollato incontro con i cronisti al Catalonia Plaza. Di fronte alla selva di microfoni e telecamere, la “pasionaria” ha rivendicato il successo del suo partito, il primo apertamente avverso al nazionalismo ad aver conquistato la Catalogna. «Segno che i no- stri cittadini si sentono e vogliono continuare a sentirsi catalani, spagnoli e europei», ha ripetuto come un mantra la “regina” incontrastata della competizione. Una sovrana, però, destinata a restare senza corona. I 37 seggi ottenuti da Ciutadans sono ben al di sotto della quota dei 68, necessaria per avere la maggioranza assoluta ed essere designata president. Al momento, in Parlament, non sembra esserci alternativa a un governo del tripartito separatista: Junts pel Catalunya (34 poltrone), Esquerra republicana de Catalunya (Erc con 32 seggi) e Candidatura d’unitat popular (Cup con 4 deputati). «Il secessionismo tiene. Abbiamo combattuto una battaglia impari. Con Oriol Junqueras, nostro riferimento principale, detenuto a Estremera. E una censura costante: abbiamo dovuto togliere dal balcone comunale lo striscione di solidarietà », racconta la sindaca Aymerich di Sant Vivenç. In effetti, al posto del manifesto, si legge: «Per ordine della commissione elettorale abbiamo rimosso la scritta «Solidarietà ai prigionieri politici» e il contatore dei giorni da reclusi degli attivisti Jordi Sánchez e Jordi Cuixart. Solo il cartello «Llibertat d’expressió», con a fianco una maschera imbavagliata, sopravvive, aggrappato alla facciata comunale. «Perché è un simbolo antico. Coniato nell’immediato post-franchismo », aggiunge la prima cittadina, che porta, appuntata alla giacca, una spilla con il volto di Junqueras. «Qui a Sant Vivenç, Erc da sola ha preso 4.553 preferenze. Quanto nel 2015 aveva incassato in coalizione con il partito di Puigdemont. E ha conquistato anche quartieri tradizionalmente anti-separatisti.

Molti unionisti mi hanno detto: “Stavolta ho scelto Erc per far uscire Oriol dalla prigione”. Ne sono assolutamente sicura. Sant Vivenç non ha tradito Junqueras». Foto con la faccia dell’ex vicepresidente della Generalitat pendono dai pali dei lampioni di carrer Ramón Camps, dove risiede con la famiglia e nel quartiere di Vila Vela. Nel vicino Canros, però, ci sono più bandiere spagnole che esteladas. Qua abitano molti di quanti hanno scelto Ciutadans «perché siamo l’unica alternativa autentica al secessionismo», afferma Carlos Gómez, portavoce di Ciutadans a Sant Vivenç. E prosegue: «Il socialismo non lo è. È sempre stato ambiguo nei confronti del nazionalismo. Per questo, piace più a chi è esausto delle avventure secessioniste. Lo so per esperienza. Sono stato consigliere comunale del Psc per 8 anni. Me ne sono andato perché il partito non sapeva contrastare i separatisti. Anzi, ci flirtava. Sono diventato arancione? In realtà resto “rojo”. Come Sant Vivenç e il “cinturón”». Sull’albero di Natale, però, trionfa il giallo-oro.

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