venerdì 2 giugno 2017
Dietro le quinte della decisione sull'accordo di Parigi si è consumato lo scontro tra moderati ed estremisti, che hanno puntato sui presunti danni economici derivanti dal taglio delle emissioni.
Donald Trump annuncia l'uscita degli Usa dall'accordo di Parigi (Ansa)

Donald Trump annuncia l'uscita degli Usa dall'accordo di Parigi (Ansa)

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Come sulla tolda del Titanic, un’orchestrina suonava giovedì pomeriggio nel Giardino delle rose della Casa Bianca, poco prima che Donald Trump annunciasse, sotto un sole cocente, l’addio degli Usa alle intese sul clima di Parigi. C’è chi dice sia l’America, ora, a rischiare di affondare, ma Trump il nazionalista, il Trump dell’"America first", non ha perso l’occasione per ribadire un concetto a lui caro: “Sono stato eletto per rappresentare i cittadini di Pittsburgh, non quelli di Parigi”. Poco distante, il più sorridente di tutti era Steve Bannon, il suo capo stratega, il falco che insieme al numero uno dell'agenzia di protezione ambientale (Epa), Scott Pruitt, è riuscito a mettere fuori gioco chi, come la figlia del presidente Ivanka e il genero Jared Kushner, premevano per non abbandonare l’accordo di Parigi.

Ritorno alla realtà

I democratici sconvolti, i repubblicani non allineati con la Casa Bianca e tutti coloro che non hanno ancora accettato Trump come loro presidente hanno provato finora a darsi pace seguendo due linee di pensiero: che il tycoon non sarà capace di avere alcun impatto reale sulla politica Usa e che i moderati alla Casa Bianca saranno comunque in grado di limitarlo. Ebbene, l’uscita dall’accordo globale sul clima è per costoro solo l’ultimo, forse il più grande, schiaffo di realtà: sono stati clamorosamente smentiti. Trump non è repubblicano, non è conservatore, non è di destra. E’ finora semplicemente coerente con quel nazionalismo che ha guidato la sua campagna elettorale lo scorso anno e che ne ha influenzato la politica negli ultimi 133 giorni.


Per mesi Bannon e Pruitt hanno solleticato gli istinti populisti del tycoon, spingendo pubblicamente la narrativa secondo cui l’accordo di Parigi era lettera morta, anche perché gli altri Paesi non starebbero facendo abbastanza per tagliare le loro emissioni. Di più, hanno fatto in modo che il presidente – da loro chiamato a non disattendere la sua promessa elettorale - ascoltasse decine di leader ed economisti che lanciavano l’allarme sul fatto che l’intesa sul clima avrebbe azzoppato la sua agenda favorevole alle energie fossili. “Abbiamo spinto molto il nostro messaggio sulle motivazioni economiche e su quanto l’accordo fosse negativo per la crescita” ha ammesso David McIntosh, presidente del gruppo di pressione liberista Club for Growth. Inoltre lo stesso Trump, a torto o a ragione, ha a lungo creduto che gli Usa avessero raggiunto a Parigi una pessima intesa sulle riduzioni dei gas serra, senza contare tutte le volte in cui il candidato Trump aveva definito il riscaldamento globale “una bufala”. Come rimangiarsi la parola?

Gli inutili incontri con Gore e Di Caprio


Nel frattempo, sull’altro fronte, provavano a muoversi i moderati, come Ivanka e il marito Jared, le cui assenze giovedì, al momento dell’annuncio di Trump, non sono passate inosservate. Ufficialmente la figlia del presidente - che ha abbracciato la fede religiosa del marito - era assente per osservare la ricorrenza della festa ebraica di Shavuot. Eppure sono in molti a leggere dietro a questa defezione il segno di una amara sconfitta. Politico ricorda come la battaglia contro i cambiamenti climatici e la salvaguardia dell'ambiente fossero state scelte a suo tempo dalla first daughter tra le cause per cui impegnarsi come consigliera prediletta del presidente. Ivanka era riuscita addirittura a far incontrare il padre con Al Gore, l'ex candidato democratico alla presidenza americana, che ha dedicato all'ambiente la sua seconda vita dopo la politica.


La figlia del presidente, con cui era schierato anche il segretario di Stato Rex Tillerson, aveva parlato del tema con Leonardo Di Caprio, appassionato attivista, che le aveva donato una copia di "Before the flood", il suo documentario sugli effetti del riscaldamento globale. E nel corso delle ultime settimane Ivanka si era impegnata in prima persona, organizzando riunioni e incontri dedicati agli accordi sul clima di Parigi.


Inevitabile chiedersi, ora che questi sforzi sono risultati vani, quanto sia davvero incisivo il peso dei moderati Jared e Ivanka: "Credevamo che con Ivanka avremmo avuto sempre Parigi" ha detto delusa la stratega democratica Rebecca Katz. Ma in realtà sembra che Ivanka si stia focalizzando fondamentalmente sul tema dei diritti delle donne e Jared sia impegnato su più fronti: il dialogo in Medio Oriente, le relazioni internazionali e l'innovazione del sistema governativo federale.

L'isolamento a Taormina

Secondo Sam Nunberg, che aveva lavorato in passato alla campagna elettorale di Trump, il vero sconfitto è il consigliere economico Gary Cohn, che aveva fortemente sostenuto gli accordi di Parigi ed era presente all'annuncio dell'uscita americana. Ancora nei giorni scorsi, Cohn sottolineava che la posizione di Trump si stava “evolvendo” e che il presidente era al G7 di Taormina per “imparare” . A Taormina, in realtà, Trump ha finito invece per isolarsi in quello che è diventato, proprio sul dossier clima, un G6+1. Nel giro di una settimana, lo scontro a distanza con la cancelliera tedesca Angela Merkel ha contribuito ad esacerbare le posizioni e a fare il gioco di chi, Bannon e Pruit in testa, spingevano da tempo Trump sul nazionalismo retorico dell’”America first”.

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