martedì 27 ottobre 2020
Il giuramento dopo l'ok del Senato: salgono a 6 su 9 i giudici conservatori. Trump esulta
La giudice Amy Coney Barrett

La giudice Amy Coney Barrett - Ansa

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Donald Trump non vuole perdere nemmeno un minuto di tempo e fissa la cerimonia del giuramento di Amy Coney Barrett alle nove di sera. A una settimana dal voto il presidente americano, sempre indietro nei sondaggi, non può permettersi neanche un istante di pausa, anche dopo una lunga giornata che lo ha visto impegnato in ben tre comizi nello stato chiave della Pennsylvania. Così la giudice scelta dal presidente Usa per la Corte Suprema ha appena il tempo di cambiarsi dopo il voto dell’aula del Senato e correre alla Casa Bianca. La sua nomina per Trump è una grande vittoria politica. E sicuramente, se dovesse perdere le elezioni, il vero segno lasciato dopo quattro anni di presidenza. L’unica cosa che potrebbe rimanere davvero in mano ai repubblicani se dovessero perdere, come temono, anche il Senato.

The Donald consegna alla storia un’Alta Corte mai così conservatrice negli ultimi 90 anni, da quegli anni ’30 che precedono l’era del New Deal di Franklin Delano Roosevelt: sei toghe di nomina repubblicana e appena tre di nomina democratica. Una svolta che potrebbe incidere sul sistema giudiziario e sulla vita degli americani per anni. È una svolta a cui Trump ha contribuito enormemente, avendo avuto la possibilità di nominare, prima della cattolica Barrett, altri due magistrati di estrazione conservatrice: Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh.

Con la nomina di Amy Barrett, Trump potrebbe aver aperto la strada non solo per l’abolizione dell’Obamacare, l’odiata riforma sanitaria di Barack Obama, ma addirittura per rimettere in discussione la storica sentenza Roe vs Wade che nel 1973 ha legalizzato l’aborto, nonché quella più recente che ha riconosciuto il diritto alle nozze gay, e tante altre norme sul fronte dei diritti civili. Per questo i democratici fino all’ultimo hanno provato a fermare in ogni modo i repubblicani in Senato. Barrett, 48 anni, di South Bend nell’Indiana, è proprio la figura che più temono, distante anni luce dall’icona liberal Ruth Bader Ginsburg di cui prenderà il posto. E il suo peso potrebbe essere messo subito alla prova, ben prima del previsto, se il risultato delle elezioni dovesse essere contestato e finire proprio davanti alla Corte Suprema. Mentre i democratici, fallito l’ostruzionismo, tirano fuori dal cassetto il piano B: quello del cosiddetto «court packing», vale a dire allargare la composizione dell’Alta Corte con nuove nomine democratiche in caso di vittoria di Joe Biden.

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