giovedì 19 maggio 2011
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Una ricerca quinquennale commissionata dai vescovi statunitensi ha concluso che né il celibato dei preti, né possibili tendenze omosessuali, né il fatto che il sacerdozio sia riservato ai soli uomini, hanno causato gli abusi sessuali su minori. Lo studio, presentato ieri dalla Conferenza episcopale statunitense, attribuisce invece il problema a un’inadeguata formazione nei Seminari e a un insufficiente supporto psicologico da parte della Chiesa ai preti. In particolare viene evidenziato il difficile contesto sociale in cui hanno dovuto operare i sacerdoti americani ordinati negli anni ’50, impreparati ad affrontare gli sconvolgimenti sociali e la liberazione sessuale degli anni ’60. Lo studio sottolinea che negli Usa i reati, soprattutto a sfondo sessuale, aumentarono in quel periodo e nel decennio successivo, di pari passo con i casi di abusi sessuali da parte di alcuni membri della Chiesa. «La crescita del numero degli abusi negli anni ’60 e ’70 fu influenzata da fattori sociali – si legge nel rapporto –. Altri fattori, come il celibato, rimasero invece invariati e non possono essere considerati responsabili per l’aumento dei casi».Lo studio inoltre non trova connessioni fra gli abusi su minori e la possibile omosessualità di alcuni sacerdoti. Il fatto che la maggior parte delle vittime siano maschi viene spiegato col fatto che, soprattutto 30 o 40 anni fa, molti più ragazzi che ragazze si trovavano a stretto contatto con preti, come chierichetti o aiutanti in parrocchia. Il John Jay, un centro di ricerca indipendente dalla Chiesa statunitense e riconosciuto a livello mondiale, fa notare che, al contrario, la presenza di sacerdoti con tendenze omosessuali aumentò statisticamente nelle fila della Chiesa americana negli anni ’80, e in quel periodo il numero di abusi calò notevolmente.Gli autori hanno analizzato la documentazione di centinaia di casi, intervistato vittime e colpevoli, e non hanno identificato «nessuna causa individuale» degli abusi, né determinate «caratteristiche psicologiche» o «storie personali» che distinguano i responsabili. Il loro comportamento non può essere imputato neppure a tendenze pedofile, a loro dire. Sebbene la maggior parte delle vittime fossero minori, infatti, lo studio fa notare che meno del 5% è stato molestato a un’età che rientra nella definizione più stretta di pedofilia, vale a dire bambini prepuberi o sotto gli 11 anni. Una definizione che alcuni gruppi delle vittime hanno contestato, sostenendo che molti ragazzi non raggiungono la pubertà fino ai 14 anni.Stando ai dati resi noti dalla stessa Chiesa cattolica Usa, le diocesi americane hanno ricevuto 15.700 denunce di abusi perpetrati a partire dal 1950, con un picco di casi negli anni ’60 e un notevole declino a partire dal 1985. Le denunce hanno cominciato ad arrivare dopo il 2002, facendo concludere ai ricercatori che in precedenza la gerarchia ecclesiastica non fosse consapevole della gravità del problema. Lo studio, costato 1,8 milioni di dollari è stato finanziato dalla Conferenza episcopale Usa, da fondazioni cattoliche, singoli donatori e dal dipartimento alla Giustizia americano. Ieri alcuni gruppi di vittime ne hanno contestato la validità, lamentando che non indaga a sufficienza sulle responsabilità dei vescovi.
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