giovedì 2 gennaio 2020
Sinistra divisa tra Sanders e Warren. L'ex vicepresidente punta sul South Carolina per andare in testa alla corsa, mentre l'incognita Bloomberg investirà tutto nel Supermartedì del 3 marzo
L'ex sindaco di South Bend, città dell'Indiana, Pete Buttigieg guida i sondaggi per i caucus nell'Iowa

L'ex sindaco di South Bend, città dell'Indiana, Pete Buttigieg guida i sondaggi per i caucus nell'Iowa - Reuters

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Non c’è membro del partito democratico Usa che non veda nella rimozione di Donald Trump dalla Casa Bianca la priorità numero uno del 2020. Eppure sul nome del miglior candidato al ruolo di sfidante del presidente in carica per le presidenziali di novembre permangono ancora dubbi e divisioni. Quando manca solo un mese all’inizio della lunga corsa per le primarie, che partirà il 3 febbraio con i tradizionali caucus dell’Iowa, non c’è ancora una figura che scaldi veramente i cuori dell’elettorato o che sappia unire le anime diverse di un partito lacerato tra le spinte a sinistra e la razionalità dello stare al centro dello spettro politico. Un sondaggio della Cnn mostra che solo il 31% dei potenziali elettori democratici delle primarie è molto soddisfatto del lotto dei candidati e che gran parte dell’elettorato teme che nessun democratico sia in grado di battere Trump.

A livello nazionale l’ex vicepresidente Joe Biden, al momento, è il candidato di riferimento con il 28% dei consensi, davanti al socialista Bernie Sanders (17%), alla senatrice Elizabeth Warren (14%) e al 37enne ex sindaco di South Bend (Indiana) Pete Buttigieg (11%). Nessun altro candidato supera il 3% dei consensi. Molti membri del partito temono però che Biden sia troppo vecchio (avrà 78 anni a novembre), incline alle gaffe e che non ecciti la base degli attivisti del partito. Secondo molti analisti, inoltre, Sanders e Warren hanno posizioni troppo a sinistra che finirebbero con l’alienare i moderati, mentre Buttigieg, finora una sorpresa, è ritenuto troppo giovane e inesperto a questi livelli. Ciononostante la popolarità di quest'ultimo è in grande ascesa, tanto che nell'ultimo trimestre del 2019 ha raccolto per la sua candidatura 24,7 milioni di dollari, con un aumento di oltre 5,5 milioni sul trimestre precedente. Per fare un paragone, Biden, nello stesso arco di tempo, ha raccolto solo 15 milioni di dollari.

L'ex vicepresidente Joe Biden è in testa alle preferenze degli elettori democratici a livello nazionale

L'ex vicepresidente Joe Biden è in testa alle preferenze degli elettori democratici a livello nazionale - Reuters

La tesi centrale del comitato elettorale di Biden è che non c’è altro candidato in grado di conciliare le istanze della classe operaia bianca, che Trump ha sorprendentemente conquistato nel 2016, e gli elettori afroamericani, punto critico e decisivo della base democratica. Sanders, da parte sua, ha superato i problemi di salute di cui ha sofferto a ottobre a causa di un attacco di cuore ed è riuscito a rimontare nelle preferenze di una sinistra del partito che in precedenza aveva fatto crescere Warren come candidata numero uno. Biden e Sanders sono peraltro gli unici due candidati ad aver già affrontato le primarie, e l’esperienza potrebbe giocare a loro favore.

Biden sostiene che Trump sia un’aberrazione politica che può essere battuta dall’elezione di un presidente che ha la volontà e l’esperienza necessaria per unire il Paese e risollevare l’immagine degli Usa all’estero. Sanders, da parte sua, ritiene Trump il sintomo di un sistema politico e di un’economia americana deformata dal denaro, dall’avidità e dalla diseguaglianza. Dal suo punto di vista, eliminare il trumpismo richiederà non solo un nuovo presidente democratico ma anche nette riforme politiche ed economiche. I democratici moderati sperano che Sanders e Warren finiscano con il dividere l’ala sinistra del partito, allontanando così la possibilità che uno dei due conquisti la nomination democratica. Avere due candidati così forti, però, consentirà ai progressisti di imporre i loro temi nei dibattiti tv.

Le strategie

Una delle incertezze della corsa delle primarie resta Michael Bloomberg, il miliardario ex sindaco di New York che si è candidato a fine novembre. La sua singolare strategia è quella di non partecipare ai primi test delle primarie, investendo invece decine di milioni di dollari della sua fortuna personale in pubblicità televisiva e digitale negli Stati che andranno al voto nel “Supermartedì” del 3 marzo, Stati molto grandi e popolosi e che assegneranno quindi un maggior numero di delegati necessari a raggiungere la soglia della nomination. È una strategia rischiosa, perché ciò significherà una totale assenza dai media nel primo mese di primarie, che regaleranno invece grande visibilità nazionale ai vincitori delle prime tornate.

A puntare forte sull’Iowa in termini di risorse investite sono stati sia Buttigieg (è al 24% nello Stato) che Sanders (21%), mentre Biden non ha grossi aspettative sui caucus e spera invece di passare in testa con le primarie del South Carolina il 29 febbraio, giusto in tempo per conquistare i media in vista del Supermartedì.

Le primarie coincideranno tra l’altro con la procedura di impeachment nei confronti di Donald Trump, procedura che dopo il sì della Camera potrebbe presto arrivare in Senato. Qui, però, il presidente potrà contare sulla maggioranza repubblicana per salvarsi. Ecco perché, al di là dell’impeachment, i candidati democratici dovranno innanzitutto conquistare il loro elettorato, facendo in modo di presentarsi come la migliore speranza per battere Trump nelle elezioni di novembre.

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