giovedì 5 maggio 2016
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«Prima gli insulti, ora mi cercano». Resiste una minoranza frondista Il carro dei vincitori, al di là dall’oceano, assume i contorni di un ben più comodo treno. E il «treno Trump», come lo ha definito lo stesso candidato repubblicano, a bordo ha ancora posto. Anche se non per tutti. «Ci chiamano dicendo: vorremmo stare con voi», sorride il tycoon, trattato per mesi come un appestato dall’establishment del partito ed ora assediato, a suo dire, dagli stessi che prima lo denigravano. «A uno di loro, capace delle critiche più feroci, ho chiesto: “Dopo quello che hai detto su di me, come potresti ora unirti alla mia squadra?”. E lui mi ha risposto serafico: “Non ti preoccu- pare, non sarà un problema”. Proprio una mentalità da politico». «Politico», nel lessico del vincitore delle più improbabili primarie americane della storia recente, è tutto tranne che un complimento. Dopo aver battuto governatori e senatori, alla convention di Cleveland Trump sarà il primo non politico ad aggiudicarsi la nomination dai tempi del generale Dwight Eisenhower. Noi contro loro, è sempre stato il mantra della sua campagna. Eppure, ora che anche Ted Cruz e John Kasich hanno lasciato la gara, Trump si dice certo di poter «unire la gran parte del partito. Il resto non lo voglio». Porterà a bordo diversi “trumpisti” dell’ultima ora, ma non dimenticherà tutte le ferite di una campagna tumultuosa. Di certo ha subito ringraziato il leader del Comitato nazionale repubblicano, Reince Priebus, e ha parlato di Cruz come di un avversario «forte e intelligente», un cambiamento netto di toni rispetto a un paio di giorni fa. Nel frattempo il movimento “Never Trump”, nato per impedire all’immobiliarista di ottenere la nomination, perde pezzi. Ed Rollins, ex consulente di Ronald Reagan, si è unito ad un comitato favorevole al miliardario. L’ex governatore della Louisiana Bobby Jindal, che a lungo ha sferzato il tycoon, ora va ripetendo che lo sosterrà alle presidenziali. Così come Toby Neugebauer, uno dei principali donatori di Cruz: «Non consentirò ad Hillary Clinton di diventare presidente». E Ari Fleischer, ex portavoce di George W. Bush: «Ci sono molte cose che non mi piacciono di Trump, ma voterò per lui». Non che manchino, peraltro, voci ancora critiche. Tutt’altro. Tanto che c’è chi si dice pronto a votare Hillary e chi addirittura ipotizza l’emergere di un candidato conservatore indipendente a novembre, in alternativa a Trump e con il solo obiettivo di farlo perdere. Su Twitter si sono esposti contro il miliardario i senatori Lindsey Graham, Ben Sasse e Cory Gardner: sono tra coloro che già guardano oltre il voto di novembre, preoccupati della stessa futura sopravvivenza di un partito repubblicano “occupato” dal pachiderma Trump. Negli ultimi mesi l’establishment del Grand Old Party (Gop) ha guardato a Chris Christie e Jeff Sessions – tra i primi pezzi da novanta del partito ad offrire il loro sostegno pubblico a Trump – come a dei collaborazionisti di Vichy. La loro apertura nei confronti di un outsider che, secondo i vertici conservatori, stava «sequestrando » il partito era paragonabile alla collaborazione di cui aveva goduto Adolf Hitler nella sua avventura bellica in Francia. Ma ora che la presa di potere di Trump sul partito è pressoché completa, molti tra gli stessi repubblicani si chiedono a chi affibbiare il marchio di “collaborazionista”, se ai sostenitori del miliardario o a coloro che si dicono pronti a votare alle presidenziali un candidato democratico. Insomma, come ha riassunto l’analista neocon Bill Kristol, se «la campagna per la nomination è finita, quella per l’anima del partito repubblicano è appena cominciata». Il dilemma non è da poco, anche se quello che conta, per Trump, è di essere stato in grado di dar voce a quella maggioranza silenziosa che evidentemente ingrossa l’elettorato repubblicano, solleticandone gli istinti e senza seguire le regole della politica tradizionale. Ha insultato donne, messicani, musulmani, compresi i suoi 16 rivali per la nomination. «Ci sono persone che non voglio. La gente voterà per me, non per il partito», è convinto il miliardario. Il «treno Trump» ha già travolto tutto ciò che ha provato a intralciargli i binari. E la sua corsa, a ben vedere, è appena iniziata. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il candidato repubblicano Donald Trump è quasi certo della nomination (LaPresse/Reuters)
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