sabato 30 luglio 2022
Nonostante una repressione sempre più dura, si rafforzano i no alla guerra in Russia. Nelle città c’è chi scrive messaggi contro il conflitto e chi diffonde notizie sui massacri
Il nastro verde pacifista su un carrarmato

Il nastro verde pacifista su un carrarmato - .

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Diventa sempre più difficile riuscire a gestire la sofferenza per questa guerra. Eppure, a lasciare viva una speranza, arrivano messaggi ogni giorno, da ogni angolo della sterminata terra russa. Solitudini che trovano un modo per esprimersi nonostante la repressione si faccia sempre più stringente. Uno degli account russi contro la guerra, che tutti i giorni diffonde fotografie e messaggi condivisi dai follower pacifisti, ha diffuso un’immagine che arriva da Volgograd, città che dista circa 300 chilometri dal confine con l’Ucraina. Il nastro verde del no alla guerra è legato al cannone di un carrarmato. Un piccolo gesto, di potente delicatezza che restituisce tutto il senso e la ragione per cui non si deve rinunciare a manifestare contro la guerra.

Quell’immagine è come un messaggio in bottiglia nell’oceano dell’umanità. A suo modo, un grido di disperato bisogno di esprimere il «no» alla guerra, il «basta!» alle violenze e un «sì» alla vita e alla pace. In queste ultime settimane, il regime di Vladimir Putin semina la paura con lo svolgimento dei processi che man mano vengono realizzati a seguito degli arresti avvenuti dall’inizio dell’aggressione all’Ucraina. Il caso di Alexandra Skochilenko è fra i più emblematici di una repressione assurda e implacabile.

Alexandra è una giovane donna artista di San Pietroburgo che per avere sostituito le etichette dei prezzi in un supermercato con messaggi contro la guerra si trova in carcere dall’11 aprile. Rischia una condanna fino a 10 anni e comunque resta in stato di arresto fino al 1° agosto, nonostante sia in condizioni di salute molto precarie.

Un’altra donna che sta pagando per avere espresso la sua opinione sulla guerra attraverso un post su Telegram con le tragiche notizie sul bombardamento del Teatro di Mariupol è la giornalista Maria Ponomarenko. Maria è stata arrestata il 25 aprile a San Pietroburgo. Dopo due giorni, è stata trasferita in un Sizo (custodia cautelare) e poi in un ospedale psichiatrico a Barnaul. Tramite il suo avvocato ha denunciato trattamenti forzati. C’è anche il primo vero e proprio condannato per essersi espresso contro la guerra. Si tratta di Alexeij Gorinov, deputato del distretto municipale Krasnoselsky di Mosca e oppositore di Putin. Sette anni di carcere per aver diffuso «notizie false» sull’esercito russo.

Questa la formula standard in uso dopo l’introduzione della legge che punisce chi «discredita» l’Armata Russa e che risuona nelle aule dei Tribunali dove vanno in scena uno dopo l’altro i processi. Ma gli arresti continuano quotidianamente. La scena di un video filmato a Ekaterinburg il 19 luglio mostra la protesta di Nadezhda Saifutdinova che viene fermata per aver gridato «No alla guerra!» durante una manifestazione del partito Russia Unita a sostegno dell’«Operazione militare speciale». I convenuti al meeting sembrano reagire al grido di Nadezhda in modo poco convinto e comunque dopo poco abbandonano la piazza mentre il comiziante dal microfono cerca di coprire la sua voce, tuonando: «Con il popolo e con il presidente!».

A Mosca sono stati arrestati pure Maksim Lypkanj che sulla Piazza Rossa in un picchetto solitario ha esposto un cartello con scritto: «Putin assassino dei bambini di Vinniza» e Margarita Vaseva, che invece esponeva un cartello «No alla repressione politica! Libertà per i prigionieri politici».

C’è poi stato il nuovo fermo per Marina Ovsjannikova, la giornalista che lavorava al primo canale russo e che irruppe durante il telegiornale con un cartello contro la guerra. Questa volta Marina ha protestato dalla riva del fiume sullo sfondo del Cremlino con un cartello con la scritta: «Putin assassino e i suoi soldati fascisti. Quanti bambini devono ancora morire perché si fermino?».

Nonostante tutto questo delirio che rivela al tempo stesso la necessità di nascondere e mettere a tacere la voce di chi è contro la guerra, prosegue dunque la resistenza civile delle persone e anche della controinformazione. Nonostante la diffidenza e la poca attenzione di tanta parte del mondo, si moltiplica la rete di comunicazione tra semplici cittadini, avvocati che seguono gli arrestati, attivisti. Le notizie viaggiano e arrivano a chi le vuole vedere e sentire.

L’impatto della guerra oltre che nelle cose della vita quotidiana, come la mancanza di pezzi di ricambio per computer o auto, continua sul versante dei soldati che non tornano dal fronte. Altre 106 famiglie hanno scritto a Putin per reclamare notizie sui figli, mariti o fratelli di cui non si hanno più notizie dal fronte o dal ministero della Difesa. Ma la speranza poggia anche sulla caparbietà di quei tanti russi che ci continuano a chiedere di guardarli e riconoscerli come nostri alleati per la pace.

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