venerdì 29 luglio 2022
Almeno 25 i missili lanciati dalla Bielorussia. La paura assale di nuovo i quartieri della capitale bersagliati in febbraio. Allarme anche nel Donbass, la vicepremier chiede alla gente di evacuare
Una casa distrutta da un missile russo

Una casa distrutta da un missile russo - Reuters

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Una ruspa è ancora al lavoro. Ogni giorno. E continua a raccogliere detriti o mattoni. Cinque dei dieci piani del condominio di fronte al quale l’escavatore fa avanti e indietro mostrano l’interno degli appartamenti. Sventrati da un missile russo. Sono passati cinque mesi da quando questo casermone d’impronta sovietica alla periferia di Kiev è stato bombardato. Era il 25 febbraio, secondo giorno di guerra in Ucraina. «Non ci hanno piegati. Anzi, siamo di nuovo qui. Ma il nemico ci attaccherà un’altra volta», afferma Vitaliy seduto su una panchina. Scatta l’allarme antiaereo ma l’anziano rimane a osservare il mezzo. Poi si alza per andare al chiosco del bar che guarda verso il cratere in mezzo allo stabile con almeno sette portoni d’ingresso.

La gente è tornata ad abitare nel quartiere di Pozniaky nonostante i segni ben visibili della follia della guerra. Zona residenziale fra le più popolose sulla riva sinistra del fiume Dnieper che divide la capitale, è a meno di cinque chilometri dal centro storico. E a Kiev è l’unico punto in cui sono caduti i missili: due in tutto. Uno nel condominio di Vitaliy; l’altro a trecento metri di distanza, in un grattacielo di ventiquattro piani distrutto nella parte alta. Perché la capitale è stata risparmiata dagli attacchi dal cielo. Non l’hinterland, non la regione di Kiev e di Chernihiv – a nord della città – dove anche ieri i missili sono ripresi a piombare su infrastrutture, paesi e aree industriali. Venticinque quelli arrivati nelle scorse ore, secondo una stima, alcuni dei quali abbattuti dalla contraerea ucraina. E, per i funzionari locali, sono stati lanciati dalla Bielorussia il cui confine è a centocinquanta chilometri dal cuore della città.

Un avvertimento di Mosca, forse per destabilizzare la trattativa sul grano e per rispondere all’offensiva nazionale. Come dicono anche i cinque morti per un altro attacco di Mosca a Kropyvnytskyi, nell’Ucraina centrale, e i due uccisi a causa del crollo di un edificio bombardato nel Donbass dove la vicepremier ucraina Iryna Vereshchuk invita la popolazione a «prepararsi all’evacuazione» perché corre il pericolo di non avere «elettricità, acqua, cibo, medicinali» se rimane nell’area.

«Partirà dalla Bielorussia il blitz russo su Kiev», sostiene Vitaliy. Ma non è soltanto lui a ipotizzarlo. È un’intera metropoli di tre milioni di abitanti che attende l’attacco. E vive nel terrore che cresce dopo la giornata di ieri in cui le sirene hanno suonato a ripetizione. «Prima o poi accadrà: Putin considera Kiev un obiettivo simbolico», avverte Pavel. I carri armati si erano fermati a trenta chilometri dalle porte della città nel primo mese di conflitto, giungendo con il placet di Minsk. «Il Cremlino voleva conquistarci in tre giorni ma non immaginava un’unità di popolo tanto massiccia», spiega Pavel. Anche lui era fuggito dopo le bombe piovute su Pozniaky. Poi ha deciso di riprendersi la sua casa. Come tanti, qui. Eccetto quelle decine di famiglie che hanno avuto l’appartamento squarciato. E «i più ricchi», come li chiamano, che avevano da parte una discreta somma per rifarsi una vita fuori.

Una bandiera azzurra e gialla è stata calata dalla terrazza accanto a quella di un soggiorno che non c’è più. E sopra il maxi-caseggiato il braccio di una gru si muove per provare a riparare le abitazioni ai piani alti che il secondo missile di febbraio ha trafitto. Nel piazzale Nadiya ha sistemato su una cassa di legno quello che è riuscita a mettere insieme: qualche patata, le carote, un po’ di fiori. «Vendo ciò che ho fra le mani per tirare avanti», racconta. Alza lo sguardo verso le case ferite. «Certo che ho paura. Ho paura che tutto possa ripetersi», sussurra. È Pavel che indica intorno. «I russi dicevano di voler colpire unicamente strutture militari. Ma qui ci sono solo condomini e un centro commerciale». Però c’è chi ritiene che i due razzi fossero diretti al quartiere governativo di Kiev, due chilometri più in là, e siano stati deviati dalla difesa ucraina.

Sul bordo dell’incrocio resta uno dei punti di vedetta realizzati con i sacchi di sabbia insieme a parecchi ricci anticarro in ferro. Pronti a essere ricollocati lungo le strade in caso d’emergenza. Presidi diffusi ovunque a Kiev. Come l’incubo che la guerra faccia davvero irruzione in città. «Vietato fotografare», gridano al passante che tira fuori il cellulare per immortalare un angolo del centro. E la spiegazione è sempre la stessa: «Se quell’immagine finisse in Rete, potrebbe essere utilizzata dai russi per individuare un bersaglio». Dal municipio alle chiese, dal teatro agli accessi delle fermate della metropolitana: tutto è a rischio nella mente di chi abita qui. «Ed è comprensibile – conclude Pavel –. Siamo strategici. Ma anche decisi a resistere e poi a cacciare chi tenterà di invaderci».

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