giovedì 24 novembre 2022
Comincia oggi il nono mese di guerra e continuano gli attacchi mirati contro le infrastrutture energetiche
Kiev senza luce, si vedono solo le strade illuminate dalle automobili

Kiev senza luce, si vedono solo le strade illuminate dalle automobili - Reuters

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Comincia oggi il nono mese di guerra. E ieri, nella giornata in cui si piange ogni anno l’Holodomor, lo sterminio per fame voluto da Stalin e perpetrato tra il 1932 e il 1933, Vladimir Putin ha ordinato un nuovo attacco alle infrastrutture civili strategiche, lasciando milioni di persone senza elettricità, senza acqua corrente, né riscaldamento e neanche una fiammella di gas per cucinare.
Almeno 70 missili per un obiettivo chiaro: gelo e fame per mettere in ginocchio un Paese e addomesticare una nazione indomita. Un’arma brutale e spietata, ma non nuova. Novanta anni fa in tutta l’Unione Sovietica circa cinque milioni di persone, scientemente private dei mezzi di sostentamento, furono uccise da una carestia indotta. Quattro milioni di vittime, secondo le stime, erano ucraini. E non l’hanno mai dimenticato.

Nella notte il presidente Volodymyr Zelensky era atteso in collegamento con il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, convocato d’urgenza su richiesta di Usa, Ucraina e Albania. A causa dei raid almeno tre persone sono rimaste uccise a Kiev, tra cui una ragazza di 17 anni e nell’area di Zaporizhzhia è stato letteralmente demolito dalle esplosioni il reparto maternità di un ospedale a Vilniansk, uccidendo un neonato e ferendo gravemente numerosi tra medici e pazienti. Altri bambini, riferiscono fonti Onu da Kiev, sarebbero morti nelle aree orientali dove i raid si sono aggiunti ai combattimenti sul terreno. Sempre nella regione della più grande centrale nucleare d’Europa almeno un missile ha centrato una struttura per la distribuzione degli aiuti umanitari.

«In seguito agli attacchi, alcune regioni come Leopoli a ovest, Zaporizhzhia e Odessa a sud e Chernihiv a nord sono state completamente disconnesse dall'elettricità», informa una nota del’Ufficio di coordinamento Onu in Ucraina. «I blackout stanno interessando anche gran parte delle regioni centrali di Vinnytsya e Dnipro, Khmelnitsk occidentale, Kharkiv e Sumy nord-orientali , Mykolaiv meridionale e la capitale Kiev». Un quadro che mette in crisi la già laboriosa risposta umanitaria.

Le conseguenze del sabotaggio delle centrali a colpi di esplosivo non si limitano all’elettricità. «L'intera popolazione di Kiev, stimata in circa 3 milioni di persone, è rimasta senz'acqua», informa l’Onu. Tutte le principali città sono rimaste prigioniere di ingorghi stradali, senza riscaldamento, con interruzioni della rete Internet e della telefonia mobile. Le metropolitane sono state fermate e l’intera rete di trasporti elettrici, dai tram alle filovie, sono state bloccate.

Il comando dell'aviazione di Kiev riporta che 51 missili e 5 droni kamikaze iraniani sono stati abbattuti dall'antiaerea. L’attacco è stato sferrato prevalentemente dal Mar Nero dove da giorni sostava una flotta missilistica con almeno 60 ordigni da lanciare contro la terraferma. In tarda mattinata la contraerea su Odessa e Mykolaiv è entrata in funzione ripetutamente, con una serie di esplosioni che secondo le autorità sono da attribuire alla distruzione dei vettori russi.

Almeno due missili da crociera sono stati abbattuti sopra la regione di Odessa e i detriti hanno distrutto un edificio civile in quel momento disabitato. Che però venga tenuto il riserbo su eventuali bersagli colpiti proprio nel Sud dell’Ucraina, lo conferma il blackout totale della Moldavia, pressoché totalmente dipendente dal gas russo e dall’elettricità ucraina. Sempre a Odessa il sistema di riscaldamento ha smesso di funzionare e la mancanza di elettricità ha portato anche all'arresto delle pompe idriche della regione. A Dnipro, l'approvvigionamento idrico è stato compromesso e a Dnipro e Lviv Internet ha smesso di funzionare per diverse ore.

Per la prima volta uno Stato confinante ha riportato danni così estesi, attribuiti principalmente al distacco dalla rete elettrica delle centrali nucleari di Pivdennoukrainsk, di Rivne e Khmelnitsky. A cui va sommata la già precaria condizione dell’impianto di Zaporizhizhia.

L’operatore di Stato lancia messaggi rassicuranti, spiegando che nelle centrali nucleari del Paese «è stata attivata la protezione di emergenza», a seguito della quale le varie unità di potenza «sono state automaticamente scollegate». La situazione delle radiazioni nei siti delle centrali nucleari e nei territori adiacenti «non è cambiata, tutti gli indicatori sono normali. Non appena il funzionamento del sistema elettrico sarà normalizzato - assicura l’agenzia statale - , verrà ripresa la fornitura di energia elettrica dalla centrale nucleare».

I riflettori restano puntati su Zaporizhzhia. Poiché è stata interrotta la fornitura al sistema elettrico «la centrale è entrata in modalità blackout totale. Tutti i generatori diesel sono in funzione. La situazione delle radiazioni nel sito rimane normale».

Da ottobre la Russia ha ammesso apertamente di aver preso di mira i sistemi di alimentazione e di riscaldamento dell'Ucraina con missili e droni a lungo raggio.

La rappresaglia sulle strutture energetiche fa seguito a una serie di battute d'arresto sul campo di battaglia, culminate questo mese con la ritirata dalla città meridionale di Kherson verso la sponda orientale del fiume Dnepr.

Mentre nelle aree occupate infuriava la battaglia e i cieli dell’Ucraina erano attraversati dalle saette scure dirette su centrali elettriche, edifici, ospedali, stazioni di distribuzione del gas domestico, i comandanti dei due eserciti davano l’ennesimo via libera allo scambio di prigionieri: 35 a 35. Tra quelli rilasciati ci sono i difensori di Mariupol e i combattenti nelle acciaierie Azovstal, così come alcuni membri della guardia nazionale fatti prigionieri nella centrale nucleare di Chernobyl nei primi giorni dell'invasione russa.

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