Nessuno vuole "infangarsi". E l'alta tensione giova a molti
domenica 13 febbraio 2022

Sono momenti difficili. Ore cruciali in cui le ambasciate si svuotano e i confini si affollano di truppe e armamenti, in attesa di quell’istante fatale che darà il via alla guerra. Un istante che già pare inevitabile, come una profezia di sventura, addirittura con una data certa. Tanto da far dire alla portavoce di Sergeij Lavrov, Maria Zakharova: «Gli anglo-americani vogliono una guerra ad ogni costo». Forse non è vero, ma è vero che ad alzare quotidianamente la soglia di allarme sono proprio loro.

Del resto, l’alta tensione giova a molti, russi compresi. A Putin, per cominciare, perché quale ne sia l’esito finale il perdurare del braccio di ferro attorno all’Ucraina non fa che incrementare le royalties del signore del Cremlino, finalmente riammesso al tavolo dei grandi dopo che ne era stato poco educatamente escluso da Obama, relegando la Federazione Russa al rango di potenza regionale. Ma l’alta tensione serve anche a Joe Biden e a Boris Johnson per uno dei più sperimentati sotterfugi della politica: distogliere l’attenzione (in gergo «wag the dog», la coda che agita il cane) dalle magagne pubbliche e private dei due leader, entrambi in crisi verticale di popolarità. Non a caso il primo a lamentare l’eccesso di allarmismo è proprio il più diretto interessato, il presidente ucraino Zelensky («Se qualcuno ha informazioni aggiuntive su un’invasione russa il 16 febbraio – dice sarcasticamente – è pregato di informare il governo ucraino»). A suo modo quest’attesa rovente giova anche alla Nato: in crisi di identità da tempo (già tre anni fa Macron la definì «in stato di morte cerebrale»), sta ritrovando ottime ragioni – non ultime un urgente e lucroso rinnovo degli arsenali – per esistere, ben conscia del fatto che mai potrà intervenire a sostegno dell’Ucraina, in quanto Kiev non è membro dell’alleanza. Con gran sollievo di quella non piccola fetta di nazioni europee – Germania in testa – che con Mosca fanno affari e che non sono disposte a rinunciarvi per amore dell’Ucraina.

La domanda che a suo tempo formulammo, ritorna oggi ancor più perentoria: chi è disposto a morire per Kiev? Chi fra i potenti, i signori della guerra e i leader occidentali è pronto a un confronto militare con la Russia? La risposta è semplice nella sua disadorna verità: nessuno. Kiev non è Danzica, Putin non è Adolf Hitler, Mosca e la Russia non sono la reincarnazione di Gog e Magog e il confronto con Washington e la Nato non è una battaglia di civiltà, ma solo uno scontro fra due zolle tettoniche geopolitiche in cerca di un equilibrio che per ora non c’è. L’unica battaglia in corso per il momento è quella che si svolge fra la propaganda a stelle e strisce (Le Monde rimprovera la mancanza di prove certe da parte americana e il ricordo corre alla falsa denuncia di Colin Powell sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein) e la desinformatija russa, entrambe campionesse nella manipolazione della verità. Ma, come ammoniva Churchill, la verità è così preziosa che bisogna sempre proteggerla con una cortina di bugie.

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