sabato 16 luglio 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
Un fulmine a ciel sereno sopra il Bosforo. Il colpo di Stato maturato a Istanbul e Ankara da parte delle Forze armate turche non era nell’aria, ma a ben vedere ha radici profonde. E non è ancora detto, a notte fonda, che possa avere successo. La polizia è rimasta fedele al governo, mentre il grosso dei militari ha sconfessato il proprio vertice, "addomesticato" da Erdogan, e ha messo in cella il capo di Stato maggiore. L’esercito turco ha una lunga tradizione di invasioni di campo politiche, a tutela della "laicità kemalista" di fronte ad avanzate di forze islamiste. Ma con l’ascesa dell’ultimo "sultano" la situazione sembrava essersi normalizzata. Il presidente Erdogan è (era) considerato un uomo ormai solo al comando, al contempo leader politico (l’Akp, il Partito per la giustizia e lo sviluppo di cui è al vertice gli ha garantito tre volte un successo elettorale plebiscitario), presidente della Repubblica e uomo forte aspirante alla modifica della Costituzione per assumere il controllo totale della nazione. Sostanzialmente, una deriva autoritaria, segnalata dalla repressione di ogni opposizione e dissenso, con il pugno duro sulla libera stampa e sul movimento dei giovani del Gezi Park nel 2013.  Ma a pesare soprattutto nel rapporto con i militari sono state le scelte di politica estera di Erdogan e dei suoi governi. Prima il sogno neo-ottomano di assumere il ruolo di arbitro della regione, sogno frantumatosi di fronte alla rovinosa partecipazione in chiave anti-Assad alla crisi siriana, alla guerra civile con i curdi del Pkk, alle ambiguità mostrate nei confronti del Daesh (formalmente un nemico, in realtà – come dimostrato dalle inchieste giornalistiche – spesso rifornito di armi e finanziamenti), all’inaspettato ritorno dell’Iran sulla scena politica internazionale e alla profonda crisi delle relazioni con la Russia di Vladimir Putin, che di fatto gli ha sfilato dalle mani il ruolo di grande giocatore nel Medio Oriente.Si era spinto troppo in là Erdogan anche per i suoi alleati principali, quelli cui doveva fedeltà anche se non più amati: la Nato e l’Europa. Di conseguenza, era arrivata una tacita emarginazione del Paese, che alle Forze Armate non poteva andare giù. Poi i tentennamenti sul fronte siriano hanno portato anche il contraccolpo terroristico, gli attacchi sanguinosi sul proprio territorio, gli ondeggiamenti internazionali. Quindi, il tentativo di ricucire alcune ferite. Il riavvicinamento storico a Israele, sancito pochi giorni fa, proprio su pressione dei militari. Il passo verso Mosca, con le scuse per l’aereo abbattuto. Ma, se il Sultano si vedrà davvero scalzato dall’esercito, era troppo tardi. Non è stato forse un caso che il vertice sulla Siria tra Kerry e Lavrov si sia interrotto improvvisamente l’altra sera. Qualora le Forze armate prendessero davvero le redini del Paese, le ripercussioni internazionali sarebbero rilevantissime. Non tanto per gli assetti storici: i generali, anzi, vogliono maggiore considerazione nell’Alleanza atlantica e potrebbero spingere per un riavvicinamento all’Europa, al di là dell’accordo contestato che il governo ha stipulato con Bruxelles sui migranti, ma che le parti sono ancora riluttanti ad attuare pienamente. La svolta potrebbe avvenire in Siria, dove Erdogan sembra continui a sostenere le forze anti-Assad, al-Nousra in particolare. Senza il sostegno di Ankara, facilmente le forze lealiste avrebbero ragione della resistenza islamista. Si salderebbero in questo modo le spinte per rovesciare il Daesh e cacciarlo dalle sue roccheforti. A quel punto, paradossalmente, con un fronte compatto si potrebbe trattare per un’uscita morbida dello stesso Assad.Si tratta però di uno scenario tutto da verificare, mentre nella notte si combatte nelle strade e nelle caserme, con la popolazione che attonita aspetta di vedere l’esito. Erdogan può fare affidamento sia sul diffuso consenso nelle élites del Paese sia sul clima di incertezza e di paura che predomina fra i suoi oppositori, mentre tutte le diplomazie sono in azione, già segretamente schierate a favore di una o dell’altra fazione in campo. Forse, tuttavia, anche tra le classi medie che si sono arricchite con il boom economico degli anni di Erdogan qualcuno comincia a guardare ai militari come il male minore rispetto a un’islamizzazione che rischia di soffocare la nazione.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: