martedì 4 giugno 2013
Ancora disordini a Istanbul e Ankara. Il leader Erdogan nega la crisi e accusa i manifestanti di fiancheggiare «elementi estremisti» e continua con il pugno di ferro. Sono già 170 i feriti e 1.500 gli arrestati. Gli Usa: «Uso eccessivo della forza». Scarso interesse delle tivù locali: «Censura».
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Sale a tre il numero delle vittime degli scontri in Turchia a una settimana dall'inizio dei disordini per difendere Gezi Park minacciato dalla costruzione di un centro commerciale. La nuova vittima è un ragazzo di 22 anni deceduto in ospedale dopo essere stato colpito da un colpo d'arma da fuoco durante scontri nel sud della Turchia al confine con la Siria. Lo ha annunciato la televisione privata Ntv.

Secondo un parlamentare del partito di opposizione, Hasan Akgol citato da Ntv, il ragazzo era membro del Partito Repubblicano del Popolo (Chp). La polizia ha avviato un'indagine sulle circostanze della morte. La prima vittima si chiamava Ethem Sarisuluk ed è morto ad Ankara. La seconda vittima aveva 20 anni. Il ragazzo è morto ad Istanbul ieri sera, investito da un taxi che si è lanciato contro la folla di manifestanti. ERDOGAN: «NON È LA PRIMAVERA TURCA»Sono esplosive le dichiarazioni del premier Recep Tayyip Erdogan, che dopo aver definito Twitter un «male per la società», ha dato la colpa delle proteste all’opposizione che fiancheggerebbe «gruppi estremisti», e a «influenze esterne» non meglio specificate. «Non è in atto una Primavera turca», ha poi voluto sottolineare Erdogan – poi partito per il Nord Africa, da dove tornerà non prima di quattro giorni. Una dichiarazione che si può ben leggere nel suo contrario, ossia nella paura del premier di essere travolto da una rivolta inarrestabile. Da qui, il pugno di ferro sinora dimostrato. Linea dura che preoccupa il mondo, a cominciare dagli Stati Uniti che ieri, nelle parole del segretario di Stato John Kerry, hanno denunciato un «uso eccessivo della forza» contro i manifestanti in Turchia, mentre dalla Casa Bianca il portavoce Jay Carney ha chiesto alle parti di evitare le violenze, sottolineando che «le manifestazioni pacifiche sono vitali per la democrazia».Il clima è pesante, così tanto che ieri mattina, il presidente della Repubblica, Abdullah Gul, è intervenuto per la seconda volta con una dichiarazione dai toni decisi. Già sabato aveva auspicato un atteggiamento più mite da parte delle forze di sicurezza. «Democrazia non vuole dire solo vincere le elezioni – ha reso noto la Presidenza della Repubblica –. Tutte le parti coinvolte devono usare buon senso e mantenere la calma». Ieri sera il capo di Stato ha incontrato il capo dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu, che da giorni chiede al premier un passo indietro, accusandolo di essere un tiranno come Bashar al-Assad. Intanto però i feriti sono saliti a 170, e sono finora più di 1.500 le persone arrestate. Nei prossimi giorni sono previste nuove iniziative. Oggi le principali sigle sindacali inizieranno uno sciopero che durerà 48 ore. Le più grandi celebrità del mondo culturale turco hanno appoggiato la protesta e ormai la gente si raduna spontaneamente nei luoghi più impensati anche grazie al tam tam dei social network. Ieri mattina erano a decine di fronte all’emittente Ntv per protestare contro lo scarso interesse riservato alle manifestazioni e alla violenze delle polizia. Scarso interesse che per la gente è vera e propria censura. «Non vogliamo una stampa partigiana» e «giornalisti venduti» sono stati gli slogan scanditi, mentre sventolavano banconote di lire turche. Nelle tre principali città della Turchia moderna in molti hanno iniziato ad appendere la bandiera nazionale fuori dalle case. Un piccolo gesto, innocuo. Ma dal valore altamente simbolico. Finché le bandiere resteranno fuori la gente continuerà a protestare.
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