mercoledì 9 gennaio 2019
Il presidente in tv si è rivolto al Paese per provare a forzare il blocco delle attività governative che ha lasciato a casa 800mila dipendenti. Replica in diretta per l'opposizione
Il discorso di Trump alla nazione, ieri sera in diretta tv (Ansa)

Il discorso di Trump alla nazione, ieri sera in diretta tv (Ansa)

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Un pressante appello per uscire da un’imbarazzante impasse politica, piegare il Congresso e mantenere una delle promesse centrali della campagna elettorale di Donald Trump. Con un discorso alla nazione trasmesso in diretta dalle principali reti televisive nella notte italiana, il presidente Usa si apprestava a presentare direttamente al pubblico, e soprattutto allo zoccolo duro dei suoi elettori dai quali dipende per mantenersi a galla in mezzo a una marea crescente di guai politici e giudiziari, la sua convinzione che un muro sia «più che mai necessario». Il presidente era pronto a ribadire che al confine meridionale degli Usa si è creata una crisi che mette a rischio la sicurezza nazionale. Nei giorni scorsi il capo della Casa Bianca, il suo vice o i suoi portavoce hanno infatti dipinto i circa 5mila immigrati centroamericani ammassati, nei pressi della frontiera, come terroristi, criminali, spacciatori di droga e membri di gang sanguinarie. Affermazioni contraddette dalle associazioni umanitarie, dai media e dalle stesse agenzie governative che hanno contato, lo scorso anno, solo sei sospetti terroristi fra tutti coloro che hanno tentato di introdursi negli Usa attraversando uno dei suoi confini, compresi gli aeroporti. E che descrivono i membri delle carovane confluite nel nord del Messico come famiglie disperate in fuga dalla violenza e dalla povertà estrema.

Mentre Trump parla di una «crisi senza precedenti» al confine tra Stati Uniti e Messico, inoltre, gli ingressi illegali sono diminuiti drasticamente negli ultimi anni. Sono stati circa 400mila nell’anno fiscale 2018, rispetto al milione dei primi anni 2000. E la maggior parte degli immigrati che vivono negli Stati Uniti senza autorizzazione sono entrati legalmente, rimanendovi una volta che i loro visti sono scaduti. Ma l’arroccamento della Casa Bianca dietro la posizione secondo cui la costruzione di una barriera fisica alla frontiera meridionale Usa è indispensabile ha portato al rifiuto di Trump di firmare le misure sulla finanziaria presentategli dal Congresso e alla chiusura parziale della macchina governativa. Uno “shutdown” che entra oggi nel 19esimo giorno, lasciando oltre 800mila dipendenti federali a casa, salvo quelli giudicati insostituibili, e senza stipendio e causando innumerevoli problemi alla vita del Paese. Fra le famiglie costrette a scegliere se pagare il mutuo o l’assicurazione sanitaria, i ritardi agli aeroporti, i processi sospesi, i parchi chiusi, gli americani cominciano a sentire il peso della paralisi. La maggior parte di loro (il 50% secondo un sondaggio della Cnn) ne attribuisce la responsabilità al presidente e ai repubblicani (il 35% ai democratici) ed esige soluzioni politiche. Che, per Trump, possono venire da una capitolazione dei democratici al suo volere o da un ricorso (dalla legittimità dubbia) ai suoi poteri esecutivi.

Se il presidente, come qualcuno ipotizzava ieri (anche se il Washington Post lo escludeva), avesse fatto appello a «un’emergenza nazionale» – per costringere il Tesoro a versare i 5,7 miliardi necessari per il muro scavalcano il voto in Congresso, e affidato il compito ai militari – , c’era da aspettarsi un fiume di ricorsi giudiziari contro l’Amministrazione. Sono almeno tre, infatti, le leggi federali che impongono limiti precisi all’utilizzo delle forze armate in tempo di pace o alla dichiarazione di crisi nazionali. I democratici ieri già parlavano di attacco alla democrazia. E si preparavano a continuare la battaglia con la Casa Bianca.

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