domenica 11 dicembre 2016
La Cia rivela: «Mosca ha aiutato la campagna del vincitore». L’«amico di Putin» Tillerson (Exxon) al dipartimento di Stato
La Cia: c’è Mosca tra chi ha spinto Trump al successo
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Finora erano solo sospetti. Ora la Cia e la Nsa hanno le prove: la Russia ha interferito nel processo elettorale americano al fine di aiutare Donald Trump a vincere la presidenza. Gli attacchi informatici scagliati nell’ultimo anno ai danni del partito democratico e dei sistemi elettorali di alcuni Stati non erano dunque interventi tesi a minare la fiducia nel processo politico Usa, come si pensava la scorsa estate, ma intrusioni ordinate dal Cremlino per far eleggere un amico alla Casa Bianca. È alla luce di queste conclusioni che Barack Obama ha ordinato una revisione di tutte le informazioni in mano agli 007 e la preparazione di un rapporto entro il 20 gennaio, quando cederà la redini al miliardario repubblicano.

L’Amministrazione democratica ha sottolineato che è impossibile concludere che le azioni di Mosca hanno determinato il risultato del voto dell’8 novembre. Ma molti esperti, interpellati dai media Usa, hanno sollevato l’eventualità come reale. Trump, dopo tutto, ha vinto con un margine di circa 80mila voti espressi in tre Stati, che ha conquistato con meno di un punto percentuale di vantaggio. Il diretto interessato la pensa diversamente.

«Questa è la stessa gente che diceva che Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa – ha dichiarato la squadra per la transizione del tycoon in una nota –. L’elezione è finita da tempo con una delle più schiaccianti vittorie a livello di collegi elettorali della storia. Ora è tempo di andare avanti e rendere di nuovo grande l’America». Più tardi lo stesso Trump ha liquidato la notizia come «una storia ridicola: ogni volta che faccio qualcosa, dicono: Oh, la Russia ha interferito».

Ma non sarà così facile far sparire le illazioni. Da mesi i democratici in Congresso chiedono l’apertura di una commissione d’indagine simile a quella che ha esaminato gli attacchi terroristici dell’11 settembre. E se finora molti repubblicani hanno respinto l’idea, ora qualcuno all’interno del Grand old party sta cambiando registro. Ieri il senatore Lindsey Graham ad esempio ha espresso sostegno per l’inchiesta, così come l’ex candidato presidenziale John McCain e il presidente della commissione Intelligence del Senato Richard Burr. «Perseguirò la Russia in tutti i modi possibili – ha detto Graham –. Voglio che Vladimir Putin paghi personalmente il prezzo di questa interferenza ».

Affermazioni che rischiano di attirare le ire del presidente eletto, che ha già dimostrato di essere più che disposto a vendicarsi dei colleghi repubblicani che lo contraddicono. «Interferenze? Potrebbe essere la Russia. O la Cina. O un ragazzo a casa sua nel New Jersey», ha detto infatti il futuro commander in chief, che non ha però mai nascosto le sue simpatie per Mosca. Trump in campagna elettorale aveva infatti auspicato un rapporto migliore con la Russia ed elogiato Putin come un leader forte. E ha scelto ieri – affermano i media – come segretario di Stato, dopo lunghe esitazioni, Rex Tillerson, amministratore delegato di Exxon Mobil che ha stretto molti accordi sul petrolio con il governo russo, che nel 2012 lo ha insignito di un’alta onorificenza. Lo definiscono un «amico» di Putin. In realtà gli agenti segreti Usa disponevano di molte informazioni sul legame fra gli hacker e la Russia già a settembre e ne informarono l’Amministrazione Obama. Questa si rivelò però restia a rendere pubbliche le conclusioni, nel timore di essere accusata di intervenire a favore di Hillary Clinton. Un timore non errato. Il 55% dei repubblicani crede infatti che le notizie di interferenze russe nelle elezioni sono state inventate dai Clinton.

All’epoca Obama lasciò la decisione della divulgazione a 12 parlamentari di entrambi i partiti e alcuni repubblicani la bloccarono. Non solo. Il senatore democratico Harry Reid ieri ha accusato il direttore del Fbi, James Comey, di avere, nei mesi precedenti le elezioni, deliberatamente nascosto le informazioni relative alle attività cibernetica della Russia, che conosceva da tempo. Ora le prove sono ancora più forti. Una di queste, ha scritto il New York Times, è il fatto che gli hacker russi hanno violato non solo il sistema del partito democratico, ma anche quello repubblicano senza però diffondere nessuna delle informazioni rubate al Gop.

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