sabato 25 agosto 2012
​Le tensioni confessionali si sono riaccese in una località che, a pochi chilometri dal confine con la Siria, è da mesi uno dei principali mercati clandestini di armi. Non si fermano gli scontri nella città contesa tra la comunità sunnita e quella alauita.
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​La guerra di Tripoli, città Nord del Libano, sconfina dai due quartieri in conflitto e fa le prime vittime fuori porta. Un leader religioso salafita, Khaled el-Baradei, 28 anni, è stato trovato morto a Qobbe, quartiere adiacente a quello alauita di Jabel Mohsen, i cui abitanti da domenica scorsa si fronteggiano contro i sunniti di Bab Tabbane.A farne le spese, ieri, anche due giornalisti rimasti feriti in pieno giorno a Abu Ali, una strada centrale poco distante da Bab Tabbane, ma comunque fuori l’aerea dei bombardamenti. Si tratta di Hussein Nahle – del canale arabo di Sky News – ferito alla testa da un cecchino e della canadese Maria Moore, colpita in modo lieve alla gamba. I due reporter stavano riprendendo gli scontri nonostante il cessate il fuoco imposto dall’esercito libanese. Dopo tre giorni di inerzia, infatti, giovedì pomeriggio le forze armate sono entrate nelle zone dello scontro, riuscendo a riportare la calma per qualche ora. Ma l’omicidio del leader religioso el-Baradei, avvenuto all’alba di ieri, ha riacceso i combattimenti tra le due fazioni opposte che in quattro giorni hanno provocato tredici morti e più di cento feriti. Tutto è iniziato domenica scorsa, di notte. «Tra gli alauiti si era diffusa la falsa notizia della morte di Maher Assad, (fratello del presidente siriano Bashar ndr)», spiega Omar Haggar, un ragazzo di Bab Tabbane con berretto da baseball e fucile in mano. Un’informazione senza nessun fondamento, ma tanto è bastato a riaccendere l’odio tra i due quartieri storicamente rivali. «Hanno iniziato a sparaci e a lanciare bombe dall’alto per paura di un nostro attacco: sanno che se cade Assad per loro è finita». Il ragazzo alza il viso verso uno degli edifici grigi da dove provengono spari a ripetizione. Il rumore è assordante, ma i combattenti agli angoli delle strade sembrano essere abituati, continuano a fumare il narghilè come se nulla fosse: le loro spalle non sussultano, i loro occhi guardano sempre avanti come a volere prevedere cosa accade dietro gli edifici che li sovrastano. Ogni tanto i combattenti si danno il cambio per rispondere al fuoco nemico. Hanno armi vecchie e poco sofisticate, ma la cosa impressionate è la quantità. Bab Tabbane ha un enorme arsenale, risultato della protezione “fai da te” che vige nel Libano dall’esercito paralizzato dagli equilibri partitico-confessionali. «Vedi sono lì e non fanno nulla», Omar indica cinque soldati all’imbocco di Bab Tabbane, presidiano la strada con due carri armati. Altri tank sono invece dentro il quartiere, allineati su Shaar al Surye, Via Siria, ovvero l’ampia strada ai piedi della collina di Jabal Mohsen che divide i sunniti dalla comunità alauita imposta, quarant’anni fa, dal defunto Hafez Assad. Il padre dell’attuale presidente siriano, all’epoca, permise ai suoi correligionari di fondare anche una propria milizia. Da allora la comunità alauita rappresenta un importante alleato degli sciiti, rappresentati da Hazbollah, e una parte dei cristiani maroniti. Mentre altre correnti cristiane appoggiano il partito sunnita della famiglia Hariri, di stampo liberale. Il walzer di alleanze viene stabilito poi anche su base economica, politica, o clanico-familiare. Questo spiega come mai a Bab Tabbane una famiglia sunnita, gli Aswad, ha deciso di sostenere Hezbollah. «È da metà del mese di Ramadan che stiamo combattendo questi traditori – racconta Omar – e alla fine siamo riusciti a cacciarli via da qui». Gli scontri dentro e fuori Bab Tabbane si sono effettivamente intensificati durante il mese di agosto, seppure Tripoli, dove vive la comunità sunnita più numerosa del Libano, è stata fin dall’inizio della crisi siriana città di scontri e traffici di armi. Nonché unico punto di riferimento urbano per il Free syrian army, ormai stretto alleato della comunità salafita locale, pronta a fargli da braccio armato. Ben felice di perpetrare i propri regolamenti di conti inneggiando alla morte di Assad.
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