venerdì 18 marzo 2011
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Lo Shinkansen corre veloce con la cri­si più grave del Giappone in poppa. Benché il Paese sia per metà in gi­nocchio e per metà impaurito, il 'treno proiettile' brucia in 2 ore e 34 minuti i 515 chilometri che in direzione Sud separano Tokyo da Osaka. Al completo di compagni di viaggio che sono per un terzo l’abitua­le truppa aziendale che si sposta per mo­tivi aziendali e il resto uomini, donne e bambini, molti nuclei familiari. Dire che sia fuori dalla norma è difficile, come pu­re la ressa alla Stazione di Tokyo. La coin­cidenza con la Festa della Primavera che cade lunedì avrebbe comunque incenti­vato una breve vacanza. Non si parla di evacuazione, né di esodo, ancora. Tuttavia, la paura crescente fa al­meno ponderare una partenza. Osaka, storicamente e bonariamente rivale di Tokyo, segnata dai commerci più che dal­la politica, rischia di diventare una retro­via della devastazione. In un colpo, la trincea della paura si è abbassata di centinaia di chilometri a ridosso del secondo aero­porto internazionale del Paese, quello del Kansai, progettato da Renzo Pia­no. Qui le compagnie eu­ropee stanno dirottando i propri voli e presto altre seguiranno. Qui, a diluir­si tra 3 milioni di abitanti, vanno ripiegando le trup­pe dell’informazione mondiale, allonta­nate dalla difficoltà di operare verso Nord, dal timore della radioattività, dalle pres­sioni dei Paesi d’origine. Ultimo dal rischio di restare bloccati in quarantena nel Pae­se del Sol Levante. Il treno che a un certo punto corre ai pie­di del Fuji, innevato e incorniciato dal ce­mento, sembra passare longitudini diver­se, dai sub-tropici all’Artico, ma soprat­tutto sembra attraversare un altro paese: sereno, moderno ma con ampie enclave di una rusticità ordinata, quasi museale. Un Paese a cui lo Shinkansen, esempio di tecnologia 'buona' e di precisione fuori dall’ordinario mondiale appartiene e ren­de servigio tenendolo unito nella quoti­dianità. Uno ogni dieci minuti tra Tokyo e Osaka, incidenti così rari da mettere a pro­va la memoria. Una via di fuga ideale, fin­ché resterà aperta.Si parte nell’incertezza Una cantante d’opera che vive a Tokyo sa­rebbe dovuta partire il 28 per l’Italia. Non potrà farlo, con ogni probabilità. Il mari­to che l’aveva preceduta ieri l’altro, con u­na sosta a metà pista di rullaggio per un improvviso terremoto e conseguente rin­vio di ore della partenza, chissà invece quando potrà rientrare. Un’altra, pittrice, ha con sé ora la madre che dal terremoto dell’11 marzo non ne vuole sapere più di vivere da sola nel paesino degli avi sulle montagne. Il dilemma è se restare en­trambe in una Tokyo sentita ora come in­sicura oppure spostarsi a Sud prima che l’imponderabile le raggiunga. Storie mi- nime, pescate a caso... Ci sono poi i dubbi: che cosa realmente sta succedendo, qual è il vero livello i perico­lo, eccedono in prudenza i gestori della crisi oppure di scandalismo i mass media stranieri e i diplomatici accreditati? Nien­te si sa di 'valorosi 50', i tecnici ritornati nella centrale mercoledì sera dopo esser­ne usciti con altri 700 al mattino. Incer­tezze... Troppi buchi nell’informzione Chi parte lascia una Tokyo che comincia a dimostrare qualche dubbio, qualche ten­sione. Qualche paradosso, anche. In aree della metropoli i negozi vanno svuotan­dosi, le code si allungano, le luci si spen­gono e la dedizione al sistema comincia a mostrare la corda. In altre, quelle meno popolate di gente comune e più di mana­ger, funzionari e travet – insomma da chi la famiglia ce l’ha altrove –, mini-market e grandi magazzini restano ben forniti di merci ma con un pubblico che va ridu­cendosi a soli passanti... In genere, la coda – dove prima era alle biglietterie dei teatri e alle casse delle librerie – è di norma ormai nei distributori di carbu­rante, nonostante il razio­namento che riduce a soli dieci litri il rifornimento. Tutti in metrò, in treno o in autobus, allora? No, perché le linee hanno ridotto trat­te e orari e perché la cor­rente elettrica, che da un paio di giorni va disperdendosi in milioni di stufe accese per l’ondata di gelo, non ba­sta. Ieri si è sfiorato il blackout della capi­tale, almeno parziale, ma oggi potrebbe essere un fatto compiuto. Come la fame che incombe sui 400mila sfollati, ospitati dignitosamente sotto un tetto, ma privati del cibo che non posso­no cuocere perché manca il gas per cuci­narlo, con riscaldamento di fortuna a con­frontarsi con la tempera­tura in picchiata e la neve che tutto copre e tutti u­guaglia. Povera gente, prima orgo­gliosa di essere, come il 90 per cento dei connaziona­li, 'classe media', ora ri­dotta a sopravvivere ai margini di una devastazio­ne che da ieri ha iniziato a vedere le prime rimozioni. In compagnia sempre cre­scente dato che ieri la pre­fettura di Fukushima ha ordinato l’evacuazione di altri 30mila residenti. Intanto, dai campi, da una vita di stenti che accomu­na sopravvissuti e soccor­ritori, molti cominciano ad andarsene. Per chi resta negli alloggi di fortuna e per chi è sopravvissuto, si sta muovendo la solida­rietà nazionale, tra molte incertezze e parecchi limi­ti. Milioni di litri di carbu­rante, è stato deciso, saranno dirottati da oggi dal Sud del Paese verso Tokyo e il Nord. Come vi arriveranno, non è stato specificato, visto che è impossibile reca­pitare anche la biancheria che manca agli sfollati, raccolta dalla solidarietà pubblica. Crescono i prezzi Cresce anche il costo della vita, non apparentemente connesso, in senso inversamente propor­zionale, al 'caro Yen', terrore dell’economia giapponese. Ie­ri la valuta giapponese ve­niva data a quota 79 contro il dollaro, però il prezzo dei carburanti e dei ge­neri alimentari non si è arrestato nella sua corsa. Sconcer­to comune a Tokyo e Osaka davanti agli slanci e alle marce indietro degli spe­cialisti e dei tecnici sulla vicenda dei reattori, ma anche, più prosaicamente sui 500 Yen cadau­no dei cavoli venduti all’esterno degli ac­quartieramenti degli sfollati, sui banconi sotto la neve, a una fila muta, infreddoli­ta, ma nipponicamente ordinata. I com­menti raccolti dalle tv suonano come «Mi considero fortunato», ma «Che cosa sta succedendo al nostro Paese?» è la do­manda più incalzante. La coincidenza più drammatica della sto­ria fra avversità naturali, rischio nucleare, imprevidenza umana e – forse – rapacità di qualcuno non piega i giapponesi alla regola della giungla. Increduli nel presen­te, hanno smarrito il futuro e temono il medioevo nucleare, ma sanno ancora es­sere d’esempio al mondo e, in fondo, gra­ti a chi resta.
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