sabato 4 dicembre 2021
L’editto dei nuovi padroni si cala su un Paese che continua a registrare un alto numero di nozze forzate. Per tanti è «soltanto un’operazione di propaganda». E le ragazze non posso ancora studiare
Un matrimonio collettivo a Ghazni

Un matrimonio collettivo a Ghazni - Ansa

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Il leader supremo dei taleban ha chiesto ieri al suo governo di «adottare misure serie per far rispettare i diritti delle donne» in Afghanistan, specialmente in materia di matrimoni forzati. «Nessuno può costringere una donna a sposarsi», dichiara il mullah Haibatullah Akhundzada nel decreto in cui ordina a tribunali e governatori di lottare contro questa pratica diffusa su larga scala nel Paese. Il consenso dell’interessata sarà quindi necessario per contrarre matrimonio.
Tra le nuove direttive compaiono anche «il diritto delle vedove a determinare il proprio futuro e a non contrarre necessariamente nuovo matrimonio», il diritto della donna a una quota dell’eredità e della proprietà di marito, figli, padre e parenti. Il mullah denuncia poi la consuetudine di «dare una donna in matrimonio per raggiungere un accordo o porre fine a una disputa tra famiglie» e chiede ai ministeri della Cultura e dell’Informazione di pubblicare articoli sui diritti della donna per «fermare la regressione in corso».

Nozze di gruppo a Herat

Nozze di gruppo a Herat - Ansa

Coloro che hanno più di una moglie sono obbligati a riconoscere loro i diritti e mantenere la giustizia tra le mogli. Haibatullah chiede infine al ministero degli Affari religiosi di incoraggiare gli ulema a predicare contro l’oppressione delle donne. S

embra una farsa, ma i taleban si ergono improvvisamente a difensori delle donne

– che essi continuano a privare dell’istruzione e che restano escluse da molti settori di lavoro – nel momento in cui tentano di convincere la comunità internazionale di ripristinare i fondi necessari per fare fronte alla grave crisi economica. I taleban sono inoltre accusati di essere dietro il “business” dei matrimoni forzati, in molti casi di minorenni, in aumento a causa della galoppante povertà. Molte famiglie disperate, soprattutto nelle zone settentrionali e occidentali devastate dalla siccità, hanno venduto le proprie figlie per pagare un debito o per procurarsi del cibo.

Un afghano è stato arrestato due settimane fa nel nord del Paese:

è accusato di aver venduto 130 donne, con la falsa promessa di trovare loro un marito ricco, riducendole praticamente in schiavitù.


La prima a credere in un’operazione di marketing dei taleban è Samira Hamidi, responsabile della campagna in corso di Amnesty International a favore delle donne afghane. La campagna, che prosegue fino al 10 dicembre, è basata sulla testimonianza diretta di 16 donne (tra cui universitarie, giornaliste, insegnanti e magistrati) che formulano i loro timori, ma anche le loro raccomandazioni alla comunità internazionale.


«Queste testimonianze – afferma Hamidi –

ricordano con forza fino a che punto i progressi conseguiti dalle afghane negli ultimi due decenni di fronte a degli ostacoli che sembravano insormontabili. Mostrano anche quanto la vita delle donne e delle ragazze sia terribilmente cambiata da quando i taleban sono tornati al potere».


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