sabato 17 novembre 2012
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«Per la prima volta le leadership islamiste del Nordafrica, scaturite dalla primavera araba, devono affrontare e gestire il nodo israelo-palestinese», spiega Valeria Talbot, responsabile del programma di ricerca su Mediterraneo e Medio Oriente all’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) di Milano. Quella che superficialmente potrebbe essere interpretata come l’ennesima crisi fra Gerusalemme e l’enclave palestinese di Gaza assume un peso diverso se valutata in un’ottica regionale.Nell’ultimo biennio profondi cambiamenti hanno rimodellato la sponda Sud del Mediterraneo. Nel dare il la a una nuova intensa campagna militare, a suo avviso Israele ha valutato i rischi?Con la primavera araba, equilibri e alleanze sono saltati. Ora questa nuova crisi ridefinirà, per così dire, i giochi. Balza agli occhi il riposizionamento dell’Egitto: la presidenza Morsi non mette in discussione l’alleanza con gli Stati Uniti, ma è venuta meno la quiescenza nei confronti di Israele. Non si può sapere se Gerusalemme abbia messo in conto questo nuovo atteggiamento da parte del Cairo, ma è chiaro che al governo di Benjamin Netanyahu preme lanciare un messaggio ai propri vicini: noi non ci lasciamo intimorire.E ai potenziali elettori del centro-destra?Con questa mossa l’attenzione dell’opinione pubblica israeliana è sviata dai temi socio-economici e reindirizzata sulla sicurezza.Stati Uniti e Ue non hanno mai neanche ipotizzato di non riconoscere le nuove classi politiche tunisina ed egiziana che hanno radici nella Fratellanza musulmana. Forse Israele ha temuto uno “sdoganamento” politico anche per Hamas, imparentato con la Fratellanza musulmana?Questa chiave di lettura è interessante, potrebbe esserci del vero. Per Israele, Hamas deve continuare a essere considerata un’organizzazione terroristica. I segnali di una legittimazione politica crescente ci sono tutti: a partire dalle relazioni con la dirigenza turca, da alcuni anni, fino al trasferimento dei vertici in esilio da Damasco a Doha. Oltre alla visita diplomatica dell’emiro del Qatar a Gaza, poche settimane fa. Non credo tuttavia che la seconda amministrazione Obama avesse in serbo grandi cambiamenti in tal senso. Nella capitale egiziana Mohammed Morsi accoglierà l’omologo turco Recep Tayyep Erdogan per valutare con lui il precipitare degli eventi a Gaza. Ankara e il Cairo stanno scavalcando la Lega Araba?Non credo ci sia una competizione con l’Arabia Saudita o il Qatar. Da mesi Egitto e Turchia stanno rinsaldando legami economico-finanziari, ora sta nascendo anche un asse politico. Un Egitto stabile conviene alla Turchia, provata dalla crisi siriana. E poi non è una novità l’ambizione di Ankara ad affermarsi come mediatore fra le controversie regionali.Fino a che punto l’Egitto potrebbe spingersi nel supportare la dirigenza di Gaza?Su quello umanitario non ci sono dubbi: è già stato aperto un corridoio di aiuti. Sarà determinante anche la posizione del Qatar, tradizionalmente legato alla Fratellanza musulmana, in questa impasse.
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