martedì 2 luglio 2019
La presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen accusa Pechino: "Troppo aggressiva". E fa sosta negli Stati Uniti
La presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen (Ansa)

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Da sempre è una spina nel fianco della Cina. E, nel clima torrido che sta avvelenando i rapporti tra il gigante asiatico e gli Stati Uniti, rischia di essere un ulteriore fattore di destabilizzazione. Quello che è certo che la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen ce la sta mettendo tutta per irritare Pechino. Prima ha accusato la Cina di essere sempre “più aggressiva”, poi ha fatto sapere che l’isola non si “tirerà indietro” dinanzi a eventuali minacce. “Ora abbiamo più libertà di parlare per la nostra indipendenza", ha rilanciato Tsai Ing-wen che deve fare i conti con un’emorragia di consensi, scesi – secondo i sondaggi - dal 70% nel 2016 a circa il 30% quest'anno. Sullo sfondo, ci sono le elezioni presidenziali in programma per gennaio del prossimo anno.
Parole che fanno a pugni con le dichiarazioni, altrettanto bellicose, del presidente cinese Xi Jinping: “Taiwan deve e sarà ricongiunta con la terraferma entro il 2020”. Non solo: come scrive la Reuters, Tsai Ing-wen trascorrerà quattro notti negli Stati Uniti a luglio, visitando gli alleati diplomatici dell'isola nei Caraibi. Apriti cielo. Pechino ha reagito con durezza a quello che viene considerato uno sgarbo diplomatico dell’Amministrazione Trump. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang ha esortato gli Stati Uniti “a non permettere a Tsai Ing-wen di transitare sul territorio americano e a gestire con cautela e in modo appropriato le questioni relative a Taiwan, per evitare di danneggiare le relazioni sino-americane e la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan". Da parte loro, gli Stati Uniti, attraverso una portavoce del Dipartimento di Stato, hanno ribadito che non c'è stato alcun cambiamento nella politica "one-China" degli Stati Uniti, sotto la quale Washington ufficialmente riconosce Pechino e non Taipei.

I nervi, però, restano tesi. Con gli attori in campo che fanno a gare a mostrare i muscoli. Lo scorso 25 giugno, Pechino ha schierato la sua nave ammiraglia Liaoning, scortata da cinque di navi militari, nello Stretto di Taiwan. Da parte loro, gli alleati americani hanno intensificato la presenza militare nell'area. Poche settimane prima delle manovre cinesi, due navi da guerra canadesi hanno condotto operazioni classificate come "libertà di navigazione" nell'area.

L’interrogativo che si pongono analisti e osservatori è sempre lo stesso. Riuscirebbe Davide Taiwan a neutralizzare un’invasione di Golia Pechino? I numeri testimoniano il vantaggio schiacciante della Cina. Taiwan, grande come la Danimarca, ha a disposizione solo 150.000 soldati, oltre a 350 aerei da caccia, quattro navi da guerra classe cacciatorpediniere e 800 carri armati. L’esercito cinese vanta fino a un milione di soldati, 1.500 caccia a reazione, 33 cacciatorpediniere della marina e circa 6.000 carri armati, secondo l'ultimo rapporto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Nel caso di un tentativo di invasione di Taiwan, la Cina potrebbe mobilitare più di 20 navi da sbarco. Taiwan e gli Usa lo sanno.

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