mercoledì 29 agosto 2012
Dopo 50 anni si apre uno spiraglio di pace Santos: «Non ripeteremo gli errori passati». Gli analisti: «Adesso c’è una possibilità concreta perché per la prima volta il tema centrale della delicatissima trattativa sarà la proprietà della terra e lo sviluppo rurale».
Colombia tra vecchi spartiti e possibile musica nuova di Gerolamo Fazzini
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«Quando il fiume gorgoglia è perché porta pietre», recita un proverbio colombiano. In molti ci devono aver pensato nella notte tra lunedì e martedì quando – dopo una serie sfibrante di anticipazioni e smentite – il presidente Juan Manuel Santos ha confermato quello che ormai mezzo mondo sapeva: il governo e il principale gruppo guerrigliero, le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc), avvieranno un negoziato di pace. Basato su tre punti – ha precisato il leader –: evitare gli errori del passato, mettere fine a un conflitto di oltre mezzo secolo, non allentare le misure di sicurezza interne. In pratica, l’opposto del Caguán, la località del Caquetá, dove si svolse l’ultima trattativa, fallita clamorosamente dieci anni fa. Santos è stato volutamente vago. A fornire i dettagli mancanti ci aveva pensato qualche ora prima l’emittente venezuelana Telesur. I colloqui cominceranno – ha garantito la tv – a Oslo il 5 ottobre e proseguiranno all’Avana. Luoghi non casuali dato che a mediare tra Farc e Bogotà son stati proprio – parola di Telesur – i governi di Cuba, Venezuela e Norvegia.Affermazioni che non hanno sorpreso chi è abituato a collegare le tessere confuse dell’intricato mosaico politico colombiano. E ha individuarvi le figure nascoste. Come padre Alejandro Angulo, gesuita, politologo e direttore del prestigioso Centro de Investigación Popular (Cinep). «Le discussioni tra esecutivo e guerriglia per arrivare a un nuovo negoziato di pace sono in corso da tempo», dice ad <+corsivo>Avvenire<+tondo>. Fonti locali, parlano di un incontro tra Santos e i leader delle Farc il 7 marzo, all’Avana, quando il presidente si recò nell’isola per spiegare ufficialmente a Raúl Castro di non poterlo invitare al vertice delle Americhe di Cartagena per il veto degli Usa. In privato, però, i due avrebbero toccato anche il discorso dei colloqui con la guerriglia. «Al di là delle speculazioni, a rappresentare la vera svolta per la pace è stata l’approvazione della legge per la restituzione delle terre agli sfollati per il conflitto, nel giugno 2011. Ed è proprio questa normativa a rappresentare la possibilità concreta a mettere fine alla guerra più lunga dell’America Latina», aggiunge Angulo. Negli ultimi 31 anni, tutti i capi di Stato colombiani hanno cercato di mettere fine al conflitto che – secondo le Ong – ha fatto oltre 200mila vittime e cinque milioni di sfollati interni. «Nessuno, però, prima di lui aveva messo sul tavolo la questione della terra. L’idea di risarcire chi è stato cacciato è la premessa per affrontare il problema del riassetto delle proprietà agricole. Non dimentichiamo che le Farc sono nate come movimento contadino contro gli abusi dei grandi proprietari». Sulla centralità del tema agrario, concorda anche l’analista di Arcoiris, Luis Eduardo Celis. «I colloqui ruoteranno intorno alla redistribuzione e allo sviluppo delle aree rurali. Quelle dove il conflitto colpisce più duramente – dichiara –. Mentre gli altri punti in agenda saranno la partecipazione politica per gli ex guerriglieri e la tutela dei diritti umani». La pace, insomma, dipende dalla capacità di ricucire l’antica “frattura” colombiana, tra un universo rurale diseguale, povero e violento e un mondo urbano stabile e progredito. Quest’ultimo, per dieci anni, si è illuso che la guerra fosse terminata. Ora, la scommessa è finirla realmente. 
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