sabato 29 giugno 2013
​Il presidente della conferenza episcopale Damasceno Assis: serve una nuova coscienza contro le idolatrie, non basta più che cresca la ricchezza. E a proposito delle recenti proteste che hanno agitato il Paese: «Il Papa mi ha detto: "Le manifestazioni sono normali in democrazia"».
 Giovani da 170 Paesi per la «Jmj» carioca
COMMENTA E CONDIVIDI
A meno di un mese dalla Giornata mondiale della gioventù che vedrà papa Francesco a Rio de Janeiro, il Brasile è alle prese con una protesta senza precedenti che mette in discussione il modello di sviluppo economico registrato in questi anni dal gigante sudamericano. Avvenire ne ha parlato con il cardinale Raymundo Damasceno Assis, vescovo di Aparecida e presidente della Conferenza episcopale brasiliana che in questi giorni ha incontrato a Roma il Papa.Eminenza, in Brasile l’ondata di manifestazioni non si ferma. Cosa sta accadendo nel suo Paese?Tutto è cominciato con la protesta per il costo del biglietto dei mezzi pubblici. Nessuno si aspettava che prendesse dimensioni così vaste diventando voce di rivendicazione popolare per tutto quello che oggi manca in Brasile, per le necessità della gente. È una mobilitazione apartitica che è nata spontaneamente, dal basso, dalla strada. Non c’è stata preparazione, non ci sono leader, si è diffusa rapidamente con i social network e ha una forte componente giovanile. E questo è un elemento importante, perché i giovani, in particolare quelli della classe media, sono stati i primi a dare voce al malessere diffuso oggi nella nostra società. Quali sono le cause di questo malessere?Il malessere ha origine principalmente nella carenza di politiche pubbliche, per le infrastrutture scadenti, per le condizioni non accettabili della sanità, della mobilità, per la qualità dell’istruzione. Il dito è puntato contro la diffusa corruzione, la violenza, l’impunità, la disparità, la mancanza di trasparenza nella gestione delle risorse pubbliche. Mali che sono andati sempre più acutizzandosi, proprio in questi ultimi anni, caratterizzati dall’ascesa economica del nostro Paese. La Conferenza episcopale ha espresso subito appoggio e solidarietà alla mobilitazione. Perché?Noi vescovi, insieme ai sacerdoti, ai religiosi, ai laici viviamo tutti i giorni in prossimità con la gente, nella strada, nelle scuole, in tutte le infinite opere sociali e caritative della Chiesa dove vediamo i problemi, la disuguaglianza nella nostra società, dove incontriamo i bisogni reali e la fatica di tanti per andare avanti. Le istanze che sono state sollevate le abbiamo sempre difese nel nostro lavoro pastorale. Abbiamo perciò dichiarato solidarietà alle manifestazioni che chiedono diritti e condizioni per poter vivere dignitosamente e progredire, purché queste manifestazioni si svolgano nel rispetto della pace e dell’ordine. Al tempo stesso, a fronte di gravi episodi di repressione da parte della polizia, abbiamo ribadito che il diritto a manifestare deve essere sempre garantito in uno Stato democratico. Non sappiamo come tutto si evolverà. Ma si tratta di un fenomeno che coinvolge il popolo brasiliano e va ascoltato, che mette in discussione tutti e richiede attenzione e discernimento dei valori che lo sottendono in vista della società più giusta e solidale che desideriamo. Ma come si spiega tutto questo proprio in un momento in cui il Brasile vede crescere la prosperità economica e il suo ruolo come potenza mondiale?Le proteste degli indignados in Europa sono sorte per la crisi economica; qui, al contrario, sono la conseguenza di uno sviluppo economico che ha portato il Paese a essere una potenza mondiale ma anche a essere ostaggio del capitale e all’idolatria della ricchezza. Idolatria che ha come effetti la concentrazione di redditi in una minoranza, la corruzione tentacolare, l’accaparramento di risorse pubbliche per propri interessi, non destinate al beneficio del popolo. I manifestanti gridano: "La coppa del mondo per chi?". Questo dice che lo sviluppo economico non basta. Non basta che un Paese cresca economicamente se questo non è accompagnato dal servizio di una corretta politica pubblica. Al centro di ogni sviluppo economico, di ogni politica ci deve essere la persona. I diritti umani e sociali. Per questo riteniamo che quello che sta accadendo sia salutare. Risveglia a una nuova coscienza, a una nuova consapevolezza.In sostanza ritiene che quello che sta accadendo in Brasile deve far riflettere sull’urgenza e la necessità vitale di nuovo modello di sviluppo. Sì. Un nuovo modello e una nuova politica di sviluppo che veda la partecipazione di tutti e metta la sfera economica e quella sociale in una sana convivenza. Il presidente Dilma Roussef in risposta alle proteste ha dichiarato di voler intraprendere una profonda riforma politica. Cosa ne pensa?Ci siamo incontrati con il presidente prima della sua dichiarazione. E ne abbiamo ampiamente parlato. È un passo che condividiamo. Il parlamento oggi è sottomesso all’esecutivo. È una riforma necessaria, se si vuole un cambiamento. La Chiesa è considerata come antagonista al governo?La Chiesa non fa battaglie politiche, non vuole niente per se stessa, né vuole avere egemonia. In tutte le circostanze è aperta al dialogo e alla collaborazione. Da parte sua lavora sempre per lo sviluppo integrale di ogni persona e sulla base dell’insegnamento sociale ricorda che il bene comune, la dignità umana, non dovrebbero essere solamente un’aggiunta ai programmi di governo ma piuttosto un pilastro su cui costruire regole condivise e strutture che siano in grado di eliminare divisioni e colmare divari esistenti. Lei all’inizio ha detto che i giovani, in particolare, hanno dato voce al malessere. Per usare le parole di papa Francesco: chi è che ruba oggi in Brasile le loro speranze?Tutta la campagna della fraternità di quest’anno è stata sulla situazione giovanile. Il Brasile è il primo Paese al mondo per il consumo di crak. La droga uccide il presente e il futuro dei ragazzi. La violenza sui giovani è un dato allarmante. L’indifferenza e il conformismo conducono i giovani a desistere dalla vita. Ascoltare, dare fiducia e rendere partecipi i giovani di un cambiamento vuol dire riscattare il presente. In questo contesto quali sono le aspettative in vista della prossima giornata della gioventù a Rio?C’è un grande fermento. Un’aspettativa molto positiva da parte di tutti. La presenza di papa Francesco in questo frangente è particolarmente attesa e sentita. Papa Francesco è sudamericano. Conosce la nostra situazione. La gente si sente compresa. E certamente ogni sua parola sarà ascoltata. Lei ha incontrato papa Francesco in questi giorni a motivo del suo viaggio in Brasile...Sì. Ho parlato con lui della situazione e lasciato la Nota divulgata dalla nostra Conferenza episcopale. Il Papa è tranquillo. «Le manifestazioni sono normali in un Paese democratico», ha detto. È stato un incontro molto sereno e fraterno. Gli ho detto che lo aspettiamo con speranza.Nei giorni scorsi erano stati espressi timori per la sua visita. Ci sono cambiamenti di programma?No. Non c’è alcun problema per la visita. Tutto resta così come è stato stabilito sia a Rio che Aparecida. Anche numerosi giovani italiani partiranno per Rio. In vista della giornata ha qualche suggerimento? La Gmg è un mutuo interscambio di esperienze. Significa apertura. Il confronto con le diverse realtà ed esperienze ecclesiali porta sempre frutto. Anche la vita che si esprime nel Vangelo è una vita di dialogo con tutti e con la quale ci si confronta. Gli incontri più belli di Gesù nel Vangelo avvengono sulla strada, secoli di storia di cristianesimo vissuto ci dicono questo. Perciò anche le strade di Rio nelle quali camminerà insieme ai giovani papa Francesco potranno essere occasione per questo incontro che auguro a ciascuno.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: