venerdì 3 gennaio 2014
La svolta economica dopo il «flop» ideologico.Il 2014 del Continente è «iniziato» il 5 marzo 2013, quando la morte del caudillo. (Lucia Capuzzi)
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Il 2014 latinoamericano è «cominciato» il 5 marzo del 2013. E il fuso orario non c’entra. Erano da poco passate le 16, quando il successore in pectore Nicolás Maduro annunciò al mondo la morte di Hugo Chávez. Persino i bolivariani più incalliti compresero in un attimo che si stava chiudendo un’epoca. E si apriva un periodo di intensa ridefinizione di equilibri. Interni ma soprattutto regionali. Se a Caracas, il “delfino” Maduro “galleggia” combinando autoritarismo, culto della personalità al leader scomparso e populismo a buon mercato, del chavismo continentale non restano che frammenti. Il sogno di esportare il “socialismo del XXI secolo” a sud del Rio Bravo – e materializzato nella Alianza bolivariana de los pueblos (Alba) – è scomparso di fatto insieme al suo creatore. Anche perché il “Paese modello” – ovvero Cuba –, con il suo programma di graduale apertura al mercato, sta compiendo il cammino inverso. A dieci mesi di distanza, la visione complessiva dell’America Latina varia dalla latitudine da cui la si guarda, come ha sottolineato in un recente intervento lo storico Enrique Krauze. Così, mentre dall’alto delle vette andine, il Nobel Mario Vargas Llosa può permettersi un insolito ottimismo, il messicano Krauze si sofferma sulle ombre che oscurano lo scintillio della “fiesta latina”, prodotto a sua volta del binomio crescita e stabilità democratica. La regione, uscita con appena qualche ammaccatura dalla crisi mondiale, ha messo fine alla sfilza novecentesca di colpi di Stato militari e tentativi rivoluzionari. Un fatto non da poco, ampiamente ricordato nell’anno appena trascorso, il 35esimo dall’inizio della terza ondata di democratizzazione. Così Samuel Huntington definiva il processo, iniziato nel 1978 in Bolivia, di uscita – più o meno dolorosa – dalla “notte buia dell’autoritarismo”. Basta pensare che lo storico Aloïs Hug calcola in 2,5 milioni le vite spezzate nella lunga di seria di golpe. La regione è ormai un mosaico di democrazie, con l’eccezione di Cuba. Sistemi più o meno funzionanti. Dipende dalla latitudine, appunto. Lo spettro di possibilità è ampio: si va dal virtuoso Perù – che combina una crescita intorno al 5 per cento con un basso tasso di inflazione, 2,5 per cento, e una diminuzione della povertà del 26 per cento – al traballante Venezuela e alla caotica Argentina. È, tuttavia, possibile tratteggiare alcune direttrici comuni che attraversano l’enorme spazio compreso tra “la Línea” e la Patagonia. La tendenza a guardare verso il Pacifico è forse la principale. Questo spiega l’ascesa dell’Alleanza per il Pacifico (Ap), l’organizzazione-contraltare dell’Alba. All’alta ideologizzazione di quest’ultima, l’Ap contrappone una pluralità di visioni politiche, sintetizzate dai diversi orientamenti dei governi che la compongono: Messico (centro), Colombia (centro-destra), Perù (sinistra) e Cile (centro-sinistra, da marzo). L’obiettivo, sostanzialmente economico, è quello di ampliare il più possibile gli scambi con l’Asia-Pacifico. Dove, una Cina “affamata” di materie prime rappresenta un attore-chiave. Questo spiega la crescente penetrazione di Pechino, primo partner commerciale di Cile e Perù e secondo della Colombia. Nonché “pezzo chiave” del processo di diversificazione degli scambi in fase di sperimentazione in Messico. Sempre sul versante Pacifico, si assiste ad alcuni dei fenomeni – in positivo – più rilevanti. Se il presidente Juan Manuel Santos riuscirà nel suo intento, il 2014 sarà l’anno della pace in Colombia. Il negoziato tra governo e guerriglia delle Farc, in atto all’Avana, sembra poter porre fine alla guerra più lunga del Continente. In Messico, il recente pacchetto di riforme – educativa e fiscale –, concordate tra esecutivo e opposizione potrebbe contribuire a risolvere alcune criticità storiche del Paese. Il condizionale è quantomai d’obbligo. Perché è proprio qui che si assiste a uno dei fenomeni latinoamericani più inquietanti: la cattura da parte del crimine organizzato – legato al narcotraffico – di ampie fette di territorio, sottratte al controllo dello Stato. E il fenomeno tende a replicarsi: i narcos estendono i loro tentacoli dal Centro America al nord dell’Argentina. E il Brasile? Ricomposta la situazione politica e sociale dopo le proteste di giugno, il “gigante” si prepara ad affrontare l’anno clou del Mondiale e delle elezioni. Dilma Rousseff ha già dichiarato i suoi propositi per il 2014: vincere entrambi.
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