giovedì 2 gennaio 2014
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Il presidente del Sud Sudan Salva Kiir ha proclamato lo stato di emergenza in due Stati, quello di Jonglei e quello di Unità, dove sono in corso violenti scontri tra le forze di governo e i ribelli fedeli all'ex vice presidente Riek Machar. Lo rende noto lo stesso governo di Juba su Twitter, mentre l'emittente al-Jazeera riferisce che l'esercito di Juba ha inviato migliaia di militari nella città di Bor per riconquistare la capitale di Jonglei che è in mano ai ribelli da martedì. La dichiarazione dello stato di emergenza coincide con il previsto avvio dei negoziati tra le fazioni rivali oggi ad Addis Abeba, in Etiopia, dove si cercherà di mettere fine al conflitto scoppiato circa tre settimane fa. Come spiegato dal portavoce del governo etiope Getachew Reda, i colloqui hanno l'obiettivo di "monitorare i meccanismi del cessate il fuoco". Kiir ha inviato ad Addis Abeba una delegazione di otto negoziatori per condurre i colloqui con i sostenitori di Machar, come rende noto al Jazeera. Ma nonostante i preparativi per il dialogo, gli scontri stanno continuando anche su altri fronti oltre Bor, come ad esempio Mayom e Malakal. Le violenze in Sud Sudan sono scoppiate il 15 dicembre scorso, quando Kiir ha accusato Machar di aver tentato un colpo di Stato. Accusa che Machar ha sempre negato, affermando invece che l'obiettivo di Kiir è quello di sbarazzarsi dei suoi rivali. Il presidente e l'ex vice presidente appartengono rispettivamente alla tribù Dinka e a quella Nuer. Si stima che negli scontri siano morte migliaia di persone, secondo dati Onu, mentre circa 200mila civili sono stati costretti ad abbandonare le proprie case. Jacob Kurtzer, membro della Croce Rossa internazionale, ha detto ad al Jazeera che i rifugiati hanno urgente bisogno di aiuto. Le Nazioni Unite, dal canto loro, si sono dette pronte a fare qualsiasi cosa per evitare "terribili azioni di violenza" nel Sud Sudan. In un comunicato, la missione Onu in Sud Sudan ha denunciao "atrocità che continuano" nel Paese nonostante gli sforzi per un cessate il fuoco, con uccisioni "su base etnica".
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