mercoledì 4 maggio 2011
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Barack Obama avrebbe scelto di pubblicare almeno una delle foto che mostrano Osama Benladen morto. È il sito americano Drudge Report a rilanciare ieri pomeriggio la presunta decisione del capo della Casa Bianca. Una mossa che spazzerebbe via i dubbi di coloro che hanno parlato di una messinscena, a dispetto della sicurezza mostrata da Obama nelle ultime 48 ore. Stando a una fonte «di primaria importanza» della Casa Bianca, le immagini – delle quali almeno una mostra il leader di al-Qaeda con una ferita d’arma da fuoco alla testa sopra l’occhio sinistro – sono «nitide».ùIl presidente ha seguito via audio e video quanto stava accadendo a migliaia di chilometri di distanza. «We got him», lo abbiamo preso, sarebbero state le sue prime parole dopo l’avvenuta uccisione di Benladen in Pakistan. La «telecronaca» del blitz dei Navy Seals è stata garantita dal capo della Cia, Leon Panetta, che dal quartier generale dell’agenzia ha raccontato al presidente e ai suoi consiglieri, riuniti nella Situation room della Casa Bianca, cosa stava accadendo ad Abbottabad. «Hanno raggiunto l’obiettivo», ha detto a un certo punto Panetta. Passano i minuti. «Vediamo Geronimo», il nome in codice dato a Benladen. Altri interminabili minuti: «Geronimo Ekia (enemy killed in action, nemico ucciso in azione)». Silenzio a Washington, poi parla Obama: «We got him».Secondo il New York Times, peraltro, al blitz avrebbero partecipato 79 membri delle truppe d’élite arrivati a Abbottabad a bordo di quattro elicotteri. Finora si era invece parlato di due elicotteri con solo una ventina di uomini a bordo, partiti dall’Afghanistan, a cui poi si era aggiunto un terzo mezzo, un Chinook, quando uno dei due Black Hawk aveva avuto un incidente in fase di atterraggio nel cortile del compound. Nel discorso alla nazione con cui aveva annunciato la morte di Benladen lo stesso Obama aveva parlato di «un piccolo gruppo di americani» coinvolti. I media pachistani hanno peraltro ipotizzato che Benladen sia stato ucciso da una delle sue guardie, a cui aveva dato l’ordine di ammazzarlo per impedire di essere catturato vivo.Stando a quanto ha riferito la Bbc, che ha citato un ufficiale dei servizi segreti pachistani, «al momento dell’attacco c’erano 17 o 18 persone nel compound», tra cui diverse donne e bambini. Una figlia di Benladen, di circa 12 anni, avrebbe raccontato di aver visto sparare al padre. Due mogli e quattro figli del terrorista sono stati arrestati dalle autorità pachistane, che hanno anche confermato di non essere state informate preventivamente dagli Stati Uniti dell’operazione.Il consigliere per l’antiterrorismo della Casa Bianca, John Brennan, ha intanto riferito che il capo di al-Qaeda viveva nell’edificio di Abbottabad da cinque o sei anni. «Non aveva di fatto alcuna interazione con altre persone all’esterno della casa – ha spiegato –. Ma all’interno era molto attivo: sappiamo che ha diffuso messaggi video e audio, che era in contatto con alti esponenti di al-Qaeda». Il direttore della Cia, Panetta, ha invece spiegato che è stato deciso di non coinvolgere i pachistani perché avrebbero potuto «rovinare la missione, avvertendo l’obiettivo».Oltre a Benladen, nel blitz sarebbero rimasti uccisi il figlio Hamza, il «corriere» e il fratello di questi, oltre a una donna. Stando al Washington Post la lunga caccia al leader di al-Qaeda ha vissuto il suo momento clou nel 2005, quando la Cia riuscì a mettere le mani su uno dei più importanti «messaggeri» dello sceicco del terrore. Abu Faraj al-Libbi, questo il nome dell’uomo, arrestato nel 2005 dall’intelligence pachistana, era stato per oltre due anni il corriere «ufficiale» di Benladen. Il suo interrogatorio avrebbe fatto scoprire il network dei corrieri, fino anche al compound di Abbottabad. Tra le persone che Libbi avrebbe fatto identificare c’era anche l’uomo che ha portato i Navy Seal a due passi da Benladen, ovvero, secondo alcune fonti, il kuwaitiano Abu Hamad, poi ucciso nel blitz.La targa dell’auto di quest’ultimo, una Suzuki bianca, era stata individuata a Peshawar da un pachistano che lavorava per la Cia. La vettura risultò essere quella del più fidato corriere di Benladen e per tutto il mese successivo gli agenti della Cia continuarono a seguirla in tutto il Pakistan centrale, fino a quando li ha condotti al compound di Abbottabad.Anni prima, nel 2003, la caccia a Libbi aveva addirittura portato i servizi segreti pachistani, l’Isi, a compiere una perquisizione proprio nello stesso edificio. Un ufficiale dell’intelligence di Islamabad ha confermato che si sospettava che il fabbricato fosse il rifugio dello stesso Libbi, ma da allora il compound «non era stato più controllato. Questo – ha ammesso – è imbarazzante per l’Isi».
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