giovedì 6 febbraio 2020
Missili israeliani su postazioni di miliziani filo-iraniani. Si parla di «12 vittime». Continua il braccio di ferro su Idlib. La Turchia: «Via le truppe siriane entro febbraio o attacchiamo»
Secondo l'Onu, in due mesi i profughi in fuga dalla provincia di Idlib son o saliti a 520mila

Secondo l'Onu, in due mesi i profughi in fuga dalla provincia di Idlib son o saliti a 520mila - Ansa

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Reesta alta la tesnione in Siria, su due fronti. I media di Stato siriani riferiscono di alcuni raid aerei notturni israeliani vicino a Damasco. Secondo l'osservatorio siriano sui diritti umani, gli attacchi avrebbero preso di mira postazioni dell'esercito e combattenti sostenuti dall'Iran, a ovest e sud della capitale, la base aerea militare Mazzeh a Damasco, facendo "diverse vittime". La difesa siriana afferma invece di aver intercettato i razzi. L'agenzia Sana afferma che le difese aeree siriane hanno abbattuto la maggior parte dei missili nella periferia della capitale e nel sud del Paese prima di raggiungere i loro obiettivi. Gli aerei da guerra israeliani avrebbero lanciato i missili mentre sorvolavano le alture del Golan occupate da Israele e il vicino Libano.

Nel bombardamento, secondo l'agenzia statale siriana Sana, sono stati feriti otto militari governativi e ci sono stati non meglio precisati danni materiali. L'Osservatorio per i diritti umani, con sede a Londra e su posizioni anti-governative, dal canto suo riferisce che sono stati 12 i miliziani sciiti uccisi e sono stati colpiti depositi di armi appartenenti agli alleati iraniani in Siria. Si tratta del secondo attacco attribuito a Israele in Siria in meno di un mese. Il 15 gennaio scorso, secondo media siriani, jet dello Stato ebraico avevano colpito, la base militare di Tiyas, anche nota come T4, a est di Homs e lungo la strada che porta a Palmira. Le aree colpite nella notte sono invece, sempre secondo il resoconto ufficiale di Damasco, Kiswa, Marj Sultan, Jisr Baghdad, Izraa, località alla periferia meridionale della capitale e vicine alla confinante regione di Daraa.

Resta caldo anche il fronte di Idlib. Per il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è l’ultimatum perentorio: o il regime di Damasco libera la zona di Idlib, nel nord della Siria, dove si trovano le truppe di mo- nitoraggio della Mezzaluna entro febbraio, oppure Ankara è «pronta ad agire», cioè a intervenire militarmente. Ma la situazione rimane critica e potrebbe peggiorare nelle prossime ore. Il presidente ha preso la parola durante il tradizionale discorso del martedì al gruppo parlamentare dell’Akp, il partito per la Giustizia e lo Sviluppo, dal 2002 alla guida del Paese. Le parole di Erdogan arrivano a pochi giorni dalla morte di sette soldati turchi a causa di un attacco di Damasco. La Turchia ha già reagito, uccidendo almeno 35 militari siriani. Ma a Erdogan non basta, e nel suo discorso di ieri ha mandato avvertimenti molto chiari anche alla Russia, che rappresenta al tempo stesso uno dei suoi più importanti alleati e il maggiore sostenitore di Bashar al-Assad. Il leader turco ha detto di aver già parlato con l’omologo russo, Vladimir Putin, al telefono, e che presto discuteranno nuovamente anche di persona.

Truppe siriane occupano il villaggio di Tall Touqan nella provincia di Idlib

Truppe siriane occupano il villaggio di Tall Touqan nella provincia di Idlib - Ansa

«La crisi siriana dal 2015 è fuori controllo – ha detto Erdogan –. Il protocollo di Astana ci dà il diritto di intervenire in Siria e di rispondere a quella parte del popolo siriano che chiede la nostra presenza in Siria». Un messaggio anche per Mosca, che fino a questo momento ha cercato di lasciare Assad al suo posto, senza scontentare troppo Ankara, ma che adesso potrebbe prendere posizioni più rigide verso l’alleato, strategico, ma al tempo stesso difficilmente gestibile. Di certo, Damasco non intende lasciare agire Ankara in silenzio. Ieri pomeriggio, le forze governative siriane e russe hanno continuato a bombardare a nord-ovest della città, dove si trovato i guerriglieri sostenuti dalla Turchia. Nei pressi di Saraqeb, poi, le truppe di Damasco hanno addirittura circondato una base militare turca, la stessa dove sono morti i soldati lunedì. Una fonte del ministero della Difesa, citata da media locali, ha detto che l’esercito continuerà a combattere i gruppi terroristici che operano nella zona, accusando Ankara di sostenerli. I civili sono ostaggio dei combattimenti: negli ultimi due mesi, dalla provincia sono fuggiti in 520mila. Idlib è particolarmente strategica ed è l’unico grande centro rimasto a non essere tornato nelle mani di Damasco. A questo si deve aggiungere che la Turchia sta cercando di ampliare la sua presenza nel nord della Siria e se la città cadesse nelle mani di Assad, questo porrebbe fine alla sua mire espansionistiche. Poche settimane fa, Ankara aveva accusato Mosca di non aver mantenuto gli accordi stipulati sulla gestione della zona, facendo capire che una escalation della tensione era solo questione di tempo.

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