sabato 14 marzo 2015
​Tragico bilancio della guerra civile scoppiata per una scritta contro Assad. Dodici milioni tra sfollati e profughi nei Paesi limitrofi su una popolazione di 23 milioni.  
Missione Vaticana in corso 
Dossier della Caritas sulla strage degli innocenti
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​Da una scritta contro Assad tracciata sul muro di un liceo ad una guerra civile che ha provocato 220 mila morti, 3 milioni e 800 mila profughi dalla Siria nei Paesi limitrofi, quasi 8 milioni di sfollati che porta a poco meno di 12 milioni (su una popolazione di 23 milioni) le persone uscite drammaticamente dalle proprie abitazioni, la distruzione delle infrastrutture e l'invasione straniera di jihadisti sunniti e milizie sciite che si combattono su fronti opposti. È questa la traiettoria che in quattro anni ha portato la Siria a cadere nel buco nero di un conflitto di tutti contro tutti di cui non si intravvede la fine. La scintilla e la represssione Era il 15 marzo del 2011 quando a Daraa, nel sud del Paese, si tenne la prima manifestazione contro il regime, dopo che il mese prima un gruppo di studenti erano stati arrestati con l'accusa di avere tracciato con lo spray slogan anti-regime. Un fatto senza precedenti nei 40 anni al potere della famiglia Assad. La reazione delle autorità di Damasco fu durissima. Nel sangue vennero represse anche successive manifestazioni in altre città, fino a quando l'opposizione cominciò a fare ricorso alle armi e i primi militari disertori fondarono l'Esercito libero siriano (Els). Da allora è stato un vortice di violenza che sembra non dover avere fine. Il regime di Assad ancora in sella Nonostante l'ingiunzione lanciata fin dall'estate di quell'anno ad Assad dal presidente americano Barack Obama e dalla Ue perché lasciasse il potere, il regime è riuscito a tenersi in sella grazie alla fedeltà della maggior parte delle forze armate e all'appoggio dei suoi due grandi alleati, la Russia e l'Iran, anche se attualmente controlla con sicurezza solo una parte del territorio: da Damasco, attraverso la regione centrale di Homs, fino alla costa mediterranea, dove sono le roccaforti degli Assad. Nel nord Aleppo, quella che era una splendida città capitale economica e commerciale della Siria, è devastata dai combattimenti che da due anni e mezzo oppongono forze lealiste e ribelli. Più a est lo Stato islamico impone la sua versione oscurantista della Sharia nelle province di Al Hasakah e di Raqqa, dove nel luglio del 2013 è scomparso il padre gesuita romano Paolo Dall'Oglio. A sud, presso il confine con la parte del Golan occupato da Israele, proseguono gli scontri con gruppi islamisti e il Fronte al Nusra, la branca siriana di Al Qaida, mentre consiglieri iraniani e milizie sciite libanesi di Hezbollah appoggiano le forze lealiste. Speranze di pace deluse Una conferenza di pace organizzata all'inizio del 2014 a Ginevra è fallita dopo due sessioni e l'estate successiva il mediatore dell'Onu e della Lega Araba, Lakhdar Brahimi, ha gettato la spugna, come aveva fatto prima di lui l'ex segretario generale Kofi Annan. Il nuovo inviato speciale, il diplomatico italo-svedese di lungo corso Staffan de Mistura, sta cercando di favorire un dialogo che parta da obiettivi modesti, come tregue locali temporanee, a cominciare da Aleppo. Ma anche questa iniziativa sembra trovare notevoli difficoltà. Ma Assad, che nell'estate del 2012 sembrava prossimo alla sconfitta, con i combattimenti arrivati quasi al centro della capitale, sa di potere contare ormai sulla paura dell'Occidente per l'Is, che sembra spingere diverse capitali europee a cercare di riallacciare un dialogo con Damasco, visto come possibile alleato nella lotta ai jihadisti. 13mila morti per torture L'ong Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) ha detto di essere riuscito a documentare i casi di quasi 13.000 detenuti morti nelle carceri del regime per le torture subite. Ma quando le atrocità non sono riprese in video è impossibile che scuotano le coscienze come fanno le immagini degli ostaggi occidentali decapitati dai fanatici dell'Isis.
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