sabato 16 febbraio 2013
​Padre Kayyal, armeno cattolico, e padre Mahfouz, greco ortodosso, sono stati catturati il 9 febbraio tra Aleppo  e Damasco. Erano  su un bus pubblico: uomini armati  sono saliti e hanno prelevato solo loro. L’arcivescovo Marayati: «Perché questa scelta mirata?».
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​«Loro sono con noi». Quattro parole. Non hanno detto nient’altro i sequestratori di padre Michel Kayyal (armeno cattolico) e padre Maher Mahfouz (greco ortodosso), rapiti il 9 febbraio da un gruppo di ribelli sulla strada che da Aleppo conduce a Damasco. La telefonata è arrivata al fratello di uno dei due sacerdoti, e ha lasciato nell’angoscia le famiglie e un’intera comunità di fedeli. È successo in Siria, Paese dove la piaga dei rapimenti è, ormai, male endemico ed “efficace” strumento di vendetta. Solo nelle ultime ore, un centinaio di persone sono state rapite in un’assurda catena di sequestri incrociati tra comunità islamiche rivali nel Nord: 70 sciiti sono stati prelevati da un mini-bus a Idlib da miliziani vicini al regime: di loro non si sa più nulla; 40 sunniti, nella stessa zona, sono stati catturati mentre viaggiavano a bordo di un autobus: stessa sorte. Il “contagio” tocca adesso anche i cristiani. E a preoccupare la comunità è la determinazione con cui i sequestratori sembrano aver scelto l’obiettivo. Padre Kayyal e padre Mahfouz stavano viaggiando a bordo di un autobus pubblico, diretti alla casa salesiana di Kafrun. A trenta chilometri da Aleppo, il commando ha fermato il mezzo, alcuni uomini sono saliti a bordo e hanno controllato i documenti dei passeggeri e hanno fatto scendere i due sacerdoti. Solo loro. Poi li hanno portati via. L’arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati, ha raccontato a Fides che «i sedicenti rapitori non hanno avanzato richieste», e ha comunque sottolineato che la zona in cui i due sacerdoti sono tenuti prigionieri è stata circoscritta, e che le autorità religiose stanno cercando di aprire un canale di trattativa attraverso i capi tribù di quella zona. Finora senza successo. Nessuna indicazione sulla matrice del gruppo di sequestratori: potrebbero essere ribelli, o semplicemente banditi. «Ma ci domandiamo cosa significhi la scelta mirata di rapire due sacerdoti, tra i tanti passeggeri del bus assalito dai sequestratori», ha evidenziato monsignor Marayati. Senza peraltro confermare le indiscrezioni sulla richiesta di un riscatto di 160mila euro. Tutto è ipotizzabile in un Paese dove ormai nessun posto è sicuro. I combattimenti tra ribelli e lealisti continuano nelle aree centrale e in quelle di confine. E alimentano l’emergenza profughi. Secondo stime dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur) il bilancio aggiornato al 6 febbraio dei siriani scappati nei Paesi confinanti è di 787mila persone. Ma aumentano a un ritmo impressionante: 5.000 al giorno. Cifre da “esodo”, che interpellano con urgenza una comunità internazionale in totale stallo sugli altri fronti: diplomatico e militare. Ieri una delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con i Paesi del Mashreq, al termine di una visita in Libano, ha sottolineato che sinora la Ue ha stanziato 400 milioni di euro per aiutare i Paesi confinanti della Siria, ma che «tutti gli strumenti» saranno utilizzati per assicurare ulteriore assistenza.
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