giovedì 31 gennaio 2013
Damasco pronta a difendersi. La Casa Bianca: «Basta armi a Hezbollah». Almeno 60 vittime negli scontri nella capitale, a Homs e Daraa. Distrutta pure la chiesa di Santa Maria a Deir Ezzor L’arcivescovo Matta Roham: «È una guerra dove tutti perdono».
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«Ci saranno serie conseguenze per la città israeliana di Tel Aviv». La minaccia di ritorsione dopo l’attacco israeliano al sito militare di Jamraya parte subito da Teheran e non poteva essere più esplicita. La prima replica è del viceministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian. La «brutale aggressione» di mercoledì, precisa poi una nota del ministro degli Esteri iraniano Ali Akbar Salehi, fa parte di una strategia «occidentale e sionista» di mettere in secondo piano i successi di Assad nel riportare stabilità e sicurezza.Più meditata, ma uguale nella sostanza la nota del ministero degli Esteri siriano, giunta a pomeriggio inoltrato: Israele e i suoi alleati «sono responsabili» dell’attacco e Damasco afferma il «diritto a difendere il suo territorio e la sua sovranità». Un rischio di "escalation regionale" che sembra farsi di ora in ora più concreto, mentre Israele resta nel più stretto riserbo: l’ordine di Netanyahu ai suoi ministri ieri era il silenzio assoluto. Ieri la Siria ha pure convocato il capo della missione delle Nazioni Unite nel Golan, il generale Iqbal Singha, per inoltrare una protesta formale per la violazione della tregua sancita nel 1974, ma tra due Paesi ancora formalmente in guerra.La risposta dei caschi blu dispiegati nella zona demilitarizzata tra Siria e Israele non scioglie nessun dubbio: nessun volo osservato oltre il confine anche a causa delle cattive condizioni meteorologiche. Quindi nessuna conferma ufficiale dell’incidente. Intanto, ad aumentare la tensione e la confusione, restano le ombre sull’altro episodio che ha dato vita al mercoledì nero nelle relazioni fra Siria e Israele: alcuni funzionari statunitensi hanno confermato che il convoglio colpito l’altra notte da Israele in Siria trasportava missili terra-aria di fabbricazione russa destinati agli Hezbollah libanesi. Un episodio non confermato da Damasco, mentre ieri la Casa Bianca ha lanciato un monito quanto mai esplicito al regime: «Non è il caso che la Siria destabilizzi ancora di più la regione col trasferimenti di armi agli Hezbollah», ha ammonito il consigliere alla sicurezza nazionale, Ben Rhodes. È probabile che entrambi i raid siano veri, ma è l’attacco al sito militare di Jamraya a tenere banco in tutte le dichiarazioni dei leader regionali. A cominciare dall’opposizione siriana, riunita ieri al Cairo: il leader della Coalizione nazionale siriana, Ahmad Muaz al-Khatib, si è scagliato contro il presidente Assad che «lascia l’aviazione israeliana colpire la Siria mentre i suoi aerei sanno bombardare solo forni per il pane, moschee, università e civili». Marcia indietro, invece, di Khatib a ogni trattativa con Assad: «Ogni negoziato deve partire dalla fine del regime».«Preoccupazione» a Mosca che promette «misure urgenti» per chiarire quanto avvenuto. Una esplicita condanna per «l’odiosa aggressione» israeliana è giunta dalla Lega Araba che ha affermato il diritto di Damasco di difendere «la sua terra è la sua sovranità». Una condanna condivisa dall’Egitto che con la Lega Araba ha invitato la comunità internazionale a riconoscere le responsabilità di Israele. Per Hezbollah i raid di mercoledì hanno «completamente smascherato» le origini del conflitto e cosa effettivamente «è successo in Siria negli ultimi due anni».Una crisi che si va internazionalizzando, mentre la guerra civile interna ha registrato altre 60 vittime, tra cui tre bambini e due donne in diversi combattimenti  a damasco, Homs e Daraa. Distrutta pure nei combattimenti la chiesa siro-ortodossa di Santa Maria e la scuola cristiana di Al-Wahda sono state distrutte a Deir Ezzor. Lo ha riferito a <+corsivo>Fides<+tondo> l’arcivescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham. Le due strutture sono state colpite e distrutte nel fuoco incrociato fra esercito regolare e gruppi ribelli. «È un conflitto dove tutti perdono, nella distruzione del nostro amato Paese», ha concluso l’arcivescovo Matta Roham.
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