mercoledì 15 giugno 2011
Scappano da Jisr al-Shugur. Fonti del dissenso parlano di razzie e arresti di massa. «Uccisi dieci civili ad Abu Kamal».
EDITORIALE - Oltre il nulla e le bombe di Luigi Geninazzi
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Molti arrivano a piedi, altri – i più fortunati – su auto scas­sate. Non tutti poi riescono ad attraversare. Le autorità turche so­no costrette a dare la precedenza a donne e bambini. Il flusso diventa o­gni ora più forte, difficile accogliere tutti. Nei quattro campi allestiti ad Hatay ci sono – secondo dati ufficiali – già 8.538 persone, anche se altre fonti citate da al-Jazeera parlano di oltre 10mila. E nuove continuano ad aggiungersene. Gli agenti di frontiera devono per for­za dividerli in scaglioni: prima i feriti, i minori, i più fragili. Gli uomini, inve­ce, aspettano “il turno” per passare nel villaggio di al-Hasaniya. «Sono affa­mati: mangiano frutta direttamente dagli alberi», ha raccontato un testi­mone. ce all’uomo, spari e assalti vanno or­mai avanti da lunedì, dicono i Comi­tati locali anti-Assad. I soldati setac­ciano l’intera “zona calda” alla ricerca di chiunque sia sospettato di simpa­tizzare per i rivoltosi, dicono. Sono state denunciate incursioni nei villaggi arroccati sulle montagne in­torno a Josr al-Shughun. Jabal Zawie, Ahtam, Uram al-Joz, Jebel al-Zawiya sarebbero stati messi a ferro e fuoco. Ariha sarebbe stata isolata dai tank e i telefoni sarebbero stati tagliati. Alme­no dieci civili – sempre secondo gli at­tivisti – sono stati uccisi ieri dai mili­tari ad Abu Kamal. A choccare sono poi le testimonianze dei profughi. Alcuni parlano di razzie da parte dell’esercito: case bruciate, a­nimali sgozzati, famiglie massacrate o scomparse. Un giovane – che, però. ha detto di non averlo visto di persona – ha detto che a due donne, ricoverate ora in Turchia, sarebbero stati ampu­tati i seni. Per indagare sugli abusi della repressione, ad Hatay è arrivata una delegazione dell’Alto com­missariato Onu per i rifugiati (Acnur). Secondo le as­sociazioni per i diritti umani, oltre 1.200 persone so­no state uccise dagli uomini di Assad da quando so­no cominciate le proteste, a metà marzo, mentre gli arrestati sarebbero almeno 10mila. Tanto che, il pre­mier Erdogan ha chiesto ad Assad – quest’ultimo gli aveva telefonato per congratularsi della sua rielezio­ne – di fermare le violenze. La crisi siriana preoccupa la comunità internaziona­le. Mentre all’Onu le potenze europee e gli Stati Uniti cercano di far approvare una risoluzione di condan­na, si è aperto ora anche il fronte iraniano. Teheran ha espresso solidarietà per tutte le rivolte arabe, tranne quella siriana. Anzi, il ministro degli Esteri iraniano Mehmanparast ha avvallato la teoria di un «complot­to sionista» contro Damasco. E ha ribadito che si trat­ta di «una questione interna». Una posizione inaccet­tabile, per il segretario di Stato Usa Clinton. «L’Iran ap­poggia gli attacchi brutali del regime di Assad contro i manifestanti pacifici», ha detto. E il ministro italiano Frattini ha chiesto all’Onu si esprimersi con voce chia­ra contro Damasco.
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