martedì 10 maggio 2016
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are rete, anzi costruire un sistema per coordinare e rendere più efficace la presenza della Chiesa e della cooperazione cattolica in Iraq e in Siria. È un tavolo aperto, quello inaugurato ieri al convegno «Iraq e Siria: non lasciamoli soli» all’Università cattolica di Milano, a chi nella società italiana non vuole arrendersi all’inadeguatezza delle risposte della comunità internazionale mentre è in corso la peggiore emergenza del nuovo millennio. Sono le cifre del disastro umanitario a dare il senso della scommessa a cui si è di fronte: un milione di profughi nel Kurdistan iracheno dall’agosto del 2014, altri due milioni nel resto dell’Iraq, mentre sono ben 11 milioni, tra sfollati interni e profughi, quelli provenienti dalla Siria. Intanto anche l’Onu, dopo 5 anni di guerra civile, attesta oltre 400mila vittime nel conflitto civile siriano nei giorni in cui si parla di Aleppo come di una «nuova Sarajevo ». Una Chiesa italiana, ha ricordato il direttore della Caritas italiana don Francesco Soddu aprendo i lavori della mattinata, che subito si è attivata con la rete della Caritas nazionali locali, ma che ha voluto «essere concretamente presente per due volte con delegazioni guidate dal segretario generale della Cei Nunzio Galantino per testimoniare una solidarietà personale». Un impegno che, grazie ai fondi dell’8 per mille e alle parrocchie, ha consentito l’anno scorso interventi per quasi 4 milioni di euro e sono già in atto quest’anno progetti per 500mila euro. Un apporto decisivo in un’area al «collasso» dopo il disinteresse degli Usa dall’area, perché «non si rompa il legame fra le comunità cristiane e il Medio Oriente», unico fattore di stabilità per tutta la regione ha sottolineato Riccardo Redaelli, docente di geopolitca nell’ateneo milanese. Difficile, dunque, immaginare soluzioni politiche a breve termine, anche se il primo banco di prova concreto potrebbe essere in una «futura liberazione di Mosul lo spazio che verrà effettivamente dato al rientro delle minoranze». Questo mentre negli ultimi decenni, ha affermato il direttore di AvvenireMarco Tarquinio, abbiamo assistito alla «sistematica distruzione di tutti i luoghi di convivenza» e per questo «ci sentiamo di portare gli uomini della cultura e della carità allo stesso tavolo, chiamando idealmente anche la politica a uno spazio di reclutazione». La sfida, di fronte a una «politica assassina » è invece di «stare accanto» a chi è vittima e perseguitato, sapendo che nella società italiana esiste «un partito dell’accoglienza », come nella Chiesa un «ecumenismo della carità». La prova è quella popolazione «silenziosa ed operosa, ma che crede nella solidarietà » come valore ed è disposta ad investire in essa sia in termini economici che culturali, ha osservato il presidente della Focsiv Gianfranco Cattai. La prova sta nel “Progetto Emergenza” Kurdistan, promossa da Focsiv con Avvenire, che ha raccolto in due anni, 508mila euro raccogliendo più di 2mila donatori. Ad essi si devono aggiungere 327mila euro raccolti da Famiglia Cristianae oltre 200mila euro giunti con i fondi dell’8 per mille. Questa la base – capace di realizzare 6mila interventi in tutto il 2015 – da cui iniziare a progettare, oltre la prima emergenza. Con Focsiv, al tavolo, anche Avsi, Sant’Egidio, e il Centro sportivo italiano. Una rete capace già ora di realizzare, in Iraq, Siria, Libano e Giordania oltre 50mila interventi, con diverse professionalità spesso complementari. Un nuovo capitolo è poi quello dei corridoi umanitari, in grado di assicurare «sicurezza per chi viaggia e per chi accoglie» grazie a una identificazione dei soggetti in situazione di vulnerabilità. Un progetto che «potrebbe essere replicato in Italia e in altri Paesi europei», auspica Cesare Zucconi della comunità di Sant’Egidio. «Fare l’impossibile è un imperativo», conclude il presidente Focsiv Gianfranco Cattai. Una impresa chiamata solidarietà, nuovo volto della geopolitica della misericordia. © RIPRODUZIONE RISERVATA Una delle strutture gestite da Focsiv in Kurdistan Il convegno in Cattolica
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