martedì 29 marzo 2022
Andrij Sedovy: «Già a gennaio ci aspettavamo un'invasione su vasta scala e ci siamo preparati. Ora ospitiamo oltre 200mila sfollati quasi solo con nostre risorse. Ma non lasciateci soli»
Il sindaco Andreij Sedovy

Il sindaco Andreij Sedovy - Comune di Leopoli

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Gli allarmi erano risuonati più e più volte. Fino a sabato, tuttavia, la guerra di Putin l’aveva risparmiata. Poi, d’un tratto, nel pomeriggio di quattro giorni fa, i missili partiti da Sebastopoli sono caduti su Leopoli. Hanno colpito un deposito di petrolio, un impianto di difesa per due volte consecutive ciascuno e ferito cinque persone. Non ci sono state vittime. L’effetto simbolico, però, è stato dirompente. Le bombe sono state un pugno nello stomaco per la “capitale dell’Occidente”, speranza di salvezza per oltre 200mila sfollati di tutto il Paese, porta spalancata sull’Europa da cui dista meno di sessanta chilometri. «La Russia di Putin è la reincarnazione della Germania di Hitler del Ventunesimo secolo. Pertanto nessuna delle città e delle strutture dell’Ucraina può dirsi sicura. Le bombe colpiscono ugualmente Leopoli, Kiev, Kharkiv o Uzhhrod», afferma Andrij Sedovy, sindaco di lungo corso di Leopoli. L’anno scorso, la città ha avviato un programma per far fronte alle emergenze con l’ambasciata britannica, chiamato “Resilience residence”. «Ci siamo preparati», aggiunge.
In che modo?
Abbiamo cercato di raggiungere una certa autosufficienza energetica. Grazie al consorzio Lvivvodokanal siamo riusciti ad approvvigionare la città di acqua anche assenza di elettricità. Tutte le imprese strategiche sono, inoltre, dotate di generatori diesel che entrano in funzione in situazioni di emergenza. Abbiamo, al contempo, notevolmente aumentato le scorte di farmaci negli ospedali: dovrebbero durare per tre mesi. E abbiamo incrementato la raccolta di sangue.
Vi aspettavate l’invasione?
La Russia non ha attaccato l’Ucraina il 24 febbraio scorso, bensì otto anni fa quando ha annesso la Crimea e mandato i suoi miliziani nelle regioni di Donetsk e Luhansk. Combattiamo Putin dal 2014. E, già a gennaio, si stavamo preparando per affrontare un’offensiva su vasta scala.
Leopoli ospita oltre 200mila sfollati. Come riesce a gestire l’emergenza?
Per prima cosa, abbiamo trasformato in luoghi di accoglienza quasi cinquecento istituzioni cittadine e cento sedi di organizzazioni religiose, in pratica quasi tutti i teatri, le scuole, le chiese e le palestre. I residenti stanno dimostrando una grande solidarietà con i nuovi arrivati e ci danno una grossa mano. Affinché i bambini non perdessero la scuola abbiamo attivato la didattica a distanza, a cui partecipano anche 2mila studenti di altre città. Mentre un centro ad hoc aiuta chi arriva a trovare lavoro – ci sono 1.500 posti vacanti – e consulenza legale. E’ stato, infine, previsto un programma ad hoc per supportare il trasferimento a Leopoli delle imprese: abbiamo necessità di mantenere attiva la produzione nazionale se vogliamo resistere. Finora abbiamo gestito la crisi quasi esclusivamente con risorse interne, ma è dura, durissima. Abbiamo urgente necessità di centri mobili per gli sfollati, bagni attrezzati, case speciali. Per questo, chiediamo l’aiuto della comunità internazionale. Non lasciateci soli. Non dimenticateci, abbiamo necessità di voi e non solo dal punto di vista materiale.
Che cosa chiede Leopoli all’Italia e al resto dell’Occidente?
Ogni giorno delle forze armate ucraine contro l’esercito di Putin, è un giorno di lotta per la democrazia mondiale. Che cosa potete fare voi? Potete scendere in piazza, con convinzione, per noi. E potete non acquistare merci di produttori russi: ogni dollaro che finisce nelle loro tasche può essere impiegato per schiacciare gli ucraini. Per spararci addosso, colpendo asili, scuole, ospedale. Non finanziate i proiettili con cui ci uccidono. La vostra arma, l’arma dell’Occidente è l’isolamento completo di Mosca, dal punto di vista finanziario, diplomatico, culturale, sportivo, oltre ovviamente quello politico. In questo modo, combatterete al nostro fianco per la democrazia, nostra e di tutti.

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