mercoledì 31 marzo 2021
La retata ordinata dalla Procura di Roma
Miliziani del Daesh, in un video di propaganda del 2016, nella regione di Raqqa, la capitale del Califfato in Siria

Miliziani del Daesh, in un video di propaganda del 2016, nella regione di Raqqa, la capitale del Califfato in Siria - Ansa

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All’inizio, cioè tra aprile e ottobre del 2016, i sequestri erano stati simulati allo scopo di estorcere denaro d’accordo, a quanto pare, con almeno una delle presunte vittime. Poi però i due falsi ostaggi sono stati venduti a veri gruppi seguaci del Daesh che operavano tra Turchia e Siria e sono rimasti prigioneri per davvero delle forze islamiche fino alla primavera del 2019.

Martedì all’alba, con un blitz delle forze dell’ordine, è stata stata presa la banda che organizzò i rapimenti di Sergio Zanotti, 61 anni, e Alessandro Sandrini, 33 anni, entrambi residenti nel Bresciano: in manette sono finiti i cittadini albanesi Fredi Frrokaj e Olsi Mitraj, di 42 e 41 anni e l’imprenditore 54enne Alberto Zanini, di Mazzano, in provincia di Brescia.


Per i tre, ora in carcere, l’accusa è di sequestro di persona con finalità di terrorismo mentre Sandrini deve rispondere di simulazione di reato e tentata truffa. Zanotti non risulta finora iscritto nel registro degli indagati: la Procura della capitale ritiene che l’uomo sia stato indotto dal gruppo riconducibile ai tre soggetti arrestati ad andare ad Antiochia, in Turchia, con il pretesto di acquistare dinari iracheni fuori corso. E proprio lì l’imprenditore venne sequestrato e consegnato in Siria a un’organizzazione jihadista.

Insomma, per la procura di Roma, che ha condotto le indagini, coordinate dal sostituto Sergio Colaiocco, rapitori e rapiti avrebbero agito d’intesa per spartirsi eventuali riscatti. A tenere segregato Zanotti (si cercano le prove del suo coinvolgimento volontario nella truffa) dopo il finto rapimento avvenuto in Turchia, sarebbero stati gli appartenenti a Jund al-Aqsa: per la sua liberazione, sempre secondo gli inquirenti, sarebbe stato pagato un riscatto.

Sandrini invece finì nella rete del Turkestan Islamic Part, di ispirazione qaedista, che in quell’occasione avrebbe ottenuto un riconoscimento da parte del regime siriano e incassato un lauto bottino. Oltre ai tre arrestati e a Sandrini, sono indagate altre sei persone, presunte complici, implicate nella preparazione del sequestro e nell’organizzazione dei viaggi dei “rapiti” da un covo all’altro. Si tratta di un italiano residente in Germania, di un albanese, due siriani, un egiziano e un marocchino.


Finiti in carcere due cittadini di origine albanese e un bresciano. Sono accusati di sequestro di persona con finalità di terrorismo. Si indaga ancora sulla cattura di Sergio Zanotti, anch’essa avvenuta nel 2016. Altre sei persone coinvolte nell’inchiesta

Nell’ordinanza del gip Paola Della Monica si afferma che l’organizzazione poteva contare «su una notevole disponibilità di denaro, essendo state corrisposte somme, anche consistenti (10mila euro ai “rapiti”), sia alle future vittime che ai familiari: si tratta di un ulteriore elemento significativo di un’attività criminale svolta in maniera non occasionale, ben organizzata e, dunque, certamente più pericolosa». «È una situazione imbarazzante, non credo che mio figlio possa aver fatto una cosa del genere » ha dichiarato Gianfranco Sandrini, padre di uno dei “sequestrati”, che respinge l’ipotesi della procura. «Io comunque non ho preso un solo euro» ha precisato. L’ex fidanzata di Sandrini invece avrebbe raccontato ai Pm che: «prima di partire per Adana (città turca a 180 chilometri da Aleppo, ndr), per una vacanza, Alessandro mi promise 100mila euro per tenere il gioco con la famiglia, i giornali e le forze dell’ordine».

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