giovedì 23 maggio 2019
Oggi la Gran Bretagna sceglierà i rappresentanti per un'Europa che tenta che abbandonare al più presto. La Honda chiude a Swindon: a casa in 3.500. E l'esodo delle aziende non pare arrestarsi
La gente di Swindon, nel Wiltshire, ha scoperto sulla propria pelle i primi effetti di Brexit: la chiusura delle fabbriche straniere di automobili

La gente di Swindon, nel Wiltshire, ha scoperto sulla propria pelle i primi effetti di Brexit: la chiusura delle fabbriche straniere di automobili

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«Per la città sarà un disastro. La Brexit? Chissà, forse la chiusura sarebbe arrivata lo stesso, forse no, ma certo il dubbio rimane. Ed è un dubbio che brucia». Passo svelto, modi gentili, Pete, 63 anni, imbocca l’uscita della stazione e si avvia verso Gloucester Street. Swindon, un’ora di treno a ovest di Londra, duecentomila abitanti scarsi, una squadra di calcio in quarta serie, sfondo de “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon, best-seller di inizio millennio. Per un quarto di secolo lo stabilimento locale della Honda è stata casa di Pete, il posto di lavoro grazie al quale ha fatto studiare i suoi due figli. Ormai in pensione, la chiusura della fabbrica annunciata a febbraio dal colosso giapponese e confermata una settimana fa non lo riguarda direttamente. Eppure Pete non può non ammettere di essere «devastato » da una notizia che rischia di far collassare l’economia cittadina.

Per Paul Barltrop della Bbc, Swindon è il termometro del Regno Unito, «la città che dà una buona traccia su quel che accade alle elezioni generali: per decenni il modo in cui si votato qui è combaciato con il voto a livello nazionale». Tre settimane fa, alle elezioni per il consiglio comunale, i conservatori hanno mantenuto la maggioranza. Ma al voto non ha partecipato il Brexit party, la formazione di Nigel Farage che è in testa nei sondaggi (oltre il 30%) per le elezioni europee di oggi – si vota anche in Olanda – e che pesca soprattutto tra i “Leavers” dei conservatori.

Con Farage da una parte, e gli europeisti liberal-democratici dall’altra a portare via voti, conservatori e laburisti sembrano destinati alla batosta. Soprattutto i Tory, che rischiano di arrivare quinti. Ma lo stesso Labour non ha certo il vento in poppa e ondeggia, semmai, lungo le erratiche piroette sulla Brexit del suo leader Jeremy Corbyn. Qui a Swindon, nel 2016, il sì alla Brexit stravinse con 10 punti di vantaggio. Tre anni più tardi, proprio la prospettiva dell’uscita di Londra dall’Ue e dal suo mercato comune potrebbe aver pesato nella decisione di Honda di chiudere nel 2021 il suo unico impianto in Europa. Quello di Swindon, appunto, dove vengono prodotte 160mila Honda Civic all’anno. Per la città la perdita sarà di 3.500 posti di lavoro, 15mila considerando l’indotto. Una mazzata.

Il colosso giapponese parla di una decisione che non è stata influenzata direttamente da Brexit, ma che è dovuta soprattutto a “cambiamenti” nell’industria dell’auto e alla necessità di virare sulla produzione di veicoli elettrici in Cina, Giappone e Stati Uniti. Ma sono in molti a pensare che la Brexit, soprattutto per l’ipotesi di un “no deal”, un’uscita di Londra dall’Ue senza accordo, ancora possibile, abbia avuto un ruolo. Non è un caso se la Nissan abbia annunciato di aver scartato il piano per produrre il suo Suv X-Trail a Sunderland, mentre Jaguar Land Rover abbia in cantiere di tagliare 4.500 lavoratori nel Regno Unito.

Ma non è solo l’auto a soffrire: ieri il gruppo siderurgico British Steel ha avviato la procedura di insolvenza puntando il dito sull’incertezza della Brexit: il collasso della società, ormai a un passo, mette a rischio 5mila dipendenti diretti e 20mila dell’indotto a Scunthorpe, nel Nord.

«Non abbiamo ancora lasciato l’Europa, ma le aziende si preparano in anticipo – ammette Richard, 42 anni, che a Swindon si occupa di servizi finanziari –. A votare? Certo che ci andrò. Dopo lo spettacolo degli ultimi mesi a Westminster la politica è di moda, è come una serie Tv». La premier Theresa May ha fatto di tutto per far passare il suo accordo con l’Ue sulla Brexit, ma per tre volte la Camera dei Comuni le ha negato il via libera. Di lì, a fronte del rischio di una caotica uscita dall’Unione senza accordo, il rinvio della Brexit al 31 ottobre. Solo a quel punto, May si è trovata obbligata a portare il Regno Unito al voto europeo, un evento che rappresenta, a tre anni dal referendum, il fallimento di un’intera classe politica. E, a detta di Farage, il «tradimento» del voto di tre anni fa.

Il messaggio della premier è che solo lei può concludere il percorso avviato. Come, non si sa, visto anche il fallimento dei negoziati con i laburisti. Anche l’apertura di martedì a un referendum-bis sulla Brexit da far decidere al Parlamento ha trovato il gelo sia dei Labour che la fronda di gran parte dei Tory. Ieri, ai Comuni, May ha ribadito che uscire con un accordo è «l’unica via», mentre Downing street ha respinto di nuovo l’ipotesi dimissioni e Corbyn ha invocato «elezioni politiche anticipate». In quanti oggi, in un elettorato che prova a districarsi tra «unione doganale», «backstop» e altri tecnicismi, saranno disposti a sostenere la premier?

A Swindon, come altrove, la questione Brexit-Honda ha dominato il dibattito elettorale. Non sono mancate le marce degli operai in strada, ma non è bastato. «È un momento duro, Swindon ha già perso molti posti di lavoro che non sono ancora stati rimpiazzati, la comunità è amareggiata», ammette Steve Preddy di Unite, il principale sindacato britannico. Che poi aggiunge: «I lavoratori sono stati riuniti in una sala dove è stato proiettato un dvd che confermava la chiusura dell’impianto: gli operai erano scioccati».

L’organizzazione dei lavoratori ha criticato il governo per «il clima di incertezza nella sua gestione inetta dei negoziati sulla Brexit», che ha spinto molte aziende a non programmare investimenti in un Paese paralizzato. «Ho un mutuo da pagare e la gente ha votato senza pensare alle conseguenze. Certe questioni non possono essere decise da un voto popolare», è la convinzione, amara, di Christine, commessa, madre di tre figli.

Ma su Victoria road, lungo la salita che porta al centro storico, una casa su quattro ha un manifesto del Brexit party alla finestra. «Se si rivotasse domani, il Leave vincerebbe ancora. Per molti è diventata una questione di principio, la gente vuole che la volontà popolare sia rispettata», sottolinea George, gestore di un locale in Canal Walk. Secondo il National institute of economic and social research, i piani annunciati dal governo per attenuare l’austerity nei prossimi cinque anni «non sono credibili». Per gli esperti, uno scenario da soft Brexit porterebbe a una crescita dell’1,4% quest’anno e dell’1,6% nel 2020, ma dal 2016 a oggi l’economia ha già perso un 2,5% di crescita del Pil «che non sarà più recuperata».

Il governo ha fissato un nuovo voto di ratifica a giugno (che potrebbe slittare): vuole spingere il Parlamento a trasformare in legge l’accordo di separazione dall’Ue prima dell’insediamento del nuovo Europarlamento. Il tutto mentre la stampa evoca le dimissioni di May entro luglio. Ma è una prospettiva, quest’ultima, addirittura ottimista. Perché domenica sera, quando l’onda lunga dei risultati di questo voto europeo che non doveva esserci sarà arrivata a Westminster, a Londra e dintorni potrebbe consumarsi la resa dei conti, con l’ombra dell’euroscettico Boris Johnson pronta ad allungarsi sulla corsa alla leadership. «May potrebbe non durare altre 24 ore», sibilavano già ieri fonti Tory.

A Swindon, come tutta la periferia del Regno, non resta che stare a guardare. Lacerata, divisa, frustrata, la Brexit trasformata in uno show politico da prima serata. La partnership di Honda con la casa automobilistica inglese British Leyland è ormai storia, risale al 1980. Era solo l’inizio dell’afflusso di società giapponesi che “invasero” il Regno Unito, attratte da un Paese che, con Margaret Thatcher, spalancava le porte alle aziende straniere, golose di aver accesso ai mercati europei.

Nel 1985 Honda acquistava l’impianto di una ex fabbrica di aerei della Seconda guerra mondiale nei sobborghi di Swindon, iniziando nel 1989 la produzione delle sue auto. Trent’anni più tardi, la Leyland è defunta, Honda è in piena ritirata e anche la ex “Cool Britannia” degli anni Novanta, a guardarla da vicino, non si sente più tanto bene.

(13.Continua)

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