mercoledì 10 aprile 2013
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«Hoshta! Hoshta!», «Muoviti!», grida il poliziotto mulinando uno sfollagente che sembra la spada fosforescente di Guerre Stellari; e per quanto tutto ciò suoni assurdo non si può far altro che obbedire, visto che la sirena sul tetto dell’Hamilton Hotel lancia da più di un minuto i suoi guaiti lamentosi e il traffico, i pedoni, le ragazze con gli auricolari e l’immancabile Samsung in mano che ascoltano religiosamente la rapper Lee Hyori, le signore con la sporta della spesa, i commessi dei grandi magazzini, i giovanottelli in casacca da aviatore appoggiati alle motociclette Honda, tutti ordinatamente e senza una parola spariscono alla vista. E per un lungo istante – prima che anch’io imbocchi la scala maleodorante che porta al rifugio antiatomico – Itaewon, il popolarissimo quartiere commerciale di Seul, diventa una zona fantasma. Come negli anni Cinquanta.«Ma davvero temete un attacco nucleare?». L’anziano signore che si è portato dietro il Korea Times e aguzza la vista perché nel rifugio la luce è fioca, scuote la testa: «Di solito – dice – è un’esercitazione. Ma stavolta sembra più pericoloso. Quelli del Nord fanno la voce grossa. È un bluff, certo, ma non si sa mai». Choi, il mio interprete, sorride: «Stanno solo alzando il prezzo. Li conosciamo bene…».Sarà, ma resta il fatto che la tensione non cala, anzi, cresce di ora in ora. «La situazione nella penisola coreana gradualmente andando nella direzione di una guerra termo-nucleare. Non desideriamo nuocere agli stranieri in Corea del Sud, qualora dovesse esserci un conflitto, quindi si preparino a lasciare il Paese», recita un dispaccio dell’agenzia di stampa ufficiale Kcna, che cita la Commissione nord-coreana per la Pace (sic!) Corea-Asia-Pacifico. È un’escalation di parole, non essendovi – stando all’intelligence, per lo meno – alcuna possibilità per Pyonyang di armare davvero testate nucleari. Tuttavia Kim Jong-un, il paffuto e giovanissimo erede della dinastia che governa la Corea del Nord dal 1948 (dapprima con il “Presidente Eterno” Kim Il Sung, poi con il “Caro Leader” Kim Jong-il), esaspera i toni e mette in allarme l’intero quadrante che va da Tokyo a Guam, dalle Hawaii a Taiwan.«Vuole spaventare i mercati – spiega Lee Chong-i, broker della Borsa di Seul, che ieri nonostante tutto ha chiuso a 4.072, in leggerissimo rialzo – e vuole danneggiare l’economia sudcoreana. Per questo – dice, mentre spazza i risvolti della giacca dalla polvere del rifugio – ha chiuso i cancelli di Kaesong». È vero. Il complesso industriale gestito da entrambe le Coree (un’enclave sperimentale in territorio nordcoreano creata nel 2004 sulla base di un accordo vantaggioso per entrambi: basso costo del lavoro per Seul, 2 miliardi di dollari di affitto – cioè valuta pregiata – per Pyongyang) da due giorni è senza attività: i 53mila dipendenti del Nord che lavoravano nelle 123 aziende del Sud non si sono presentati ai cancelli: il regime di Kim Jong-un li ha tenuti fermi a casa.Ma è possibile che un Paese impermeabile alla modernità e alla democrazia e ricco di fanatismo e povertà diffusa tenga sulle spine mezzo mondo con uno sgangherato ricatto nucleare? Il giovane Kim non decide tutto da solo. Pare che zii e zie lo condizionino totalmente: una cricca, anzi, una cupola che fa pensare al circolo familiare dell’imperatore Eliogabalo, formata al vertice da Kim Kyong-huy, la zia sessantaseienne, figlia dell’Eterno e sorella del Caro Leader, assistita dal marito Jang Sung-taek, l’uomo che garantisce il buon rapporto con la Cina. Il che non le impedisce di gestire nel tempo libero un’hamburgheria a Pyongyang mentre suggerisce al nipote di scatenare l’inferno termonucleare sopra il Mar Giallo e il Mar del Giappone. «Il problema vero – dice Lee Chong-i – è che Kim Jong-un ha il grado di “daejang”, cioè di generale, ed è il capo supremo delle forze armate». Come dire che l’ordine di attacco, nel caso, lo darà direttamente lui.E più passano i minuti nella penombra asfittica del rifugio («La prossima volta vada nel metrò, è più spazioso», suggeriscono due ragazzi), più questa situazione pare assurda, grottesca, difficile da credere. Due terzi abbondanti della popolazione mondiale è nata e vissuta senza dover temere un olocausto nucleare. Solo chi è venuto alla luce durante gli anni della guerra fredda ricorda (e qualche volta rimpiange, perché il mondo diviso in due blocchi sembrava molto più sicuro di oggi) quell’epoca, dove l’equilibrio nucleare garantiva una pace duratura. «Stiamo aspettando che la Corea del Nord lanci i suoi missili – spiega il portavoce del ministro degli Esteri Yun Byung-se – poi vedremo come reagire». Si tratta di due “Musudan”, che hanno una gittata fino a 4mila chilometri. Un bluff, secondo molti osservatori, oppure l’innesco di un incidente che – sono parole di Vladimir Putin – «farebbe sembrare Chernobyl una fiaba». Lo scopo reale della Corea del Nord e del suo leader per diritto divino è quello di spuntare concessioni e ammorbidimenti economici, visto che l’economia di Pyongyang è fragile, fragilissima, la corruzione e la borsa nera sono endemiche e nonostante la propaganda capillare del regime il divario fra una esigua classe di ricchi e la stragrande maggioranza di poveri è sempre più grande. Ma alla famigerata autosufficienza, la “juche” (lo spirito guida a cavallo fra la mistica del leader e il marxismo-leninismo) si è sommato da tempo il “Songun”, la preminenza dell’apparato militare. Una falange numericamente poderosa, 1,2 milioni in divisa, per uno Stato straccione, dove la penuria alimentare e la malnutrizione sono all’ordine del giorno. Ed ecco quindi l’opzione nucleare, unico grimaldello per un regime che non teme l’opinione dei suoi sudditi e ascolta soltanto quella dei suoi generali e dove il dissenso è punito con l’incarcerazione e la tortura. «Nessuno crede alle armate di Kim Jon-un – scrivono i giornali sudcoreani – ma è forte il timore che prema il grilletto per sbaglio». Domani arriva qui a Seul il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen. Ma la partita, tutti lo sanno, è nelle mani di Washington e Pechino. Soltanto Cina e Stati Uniti possono disinnescare la follia calcolata di Pyongyang e del suo satrapo acerbo, prigioniero nel Gran Serraglio dei suoi famigli e dei suoi generali.
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