martedì 29 marzo 2016
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PARIGI oprattutto nelle banlieue, circa un centinaio di quartieri transalpini presentano “somiglianze potenziali” con il sobborgo bruxellese di Molenbeek, ha dichiarato nelle ultime ore Patrick Kanner, ministro francese delle Aree urbane, sollevando un polverone di reazioni. E lo stesso premier socialista Manuel Valls ha recentemente parlato di «apartheid territoriale», evocando la cesura fra certi contesti e la vita civile nazionale. Ma a proposito di queste “enclave”, teatri di traffici illeciti e di radicalizzazioni, sempre più voci, soprattutto d’intellettuali, rimproverano alle autorità, di sinistra come di destra, di cercare soluzioni partendo da concezioni troppo stagionate della società e in particolare delle religioni. Secondo il sociologo Raphael Liogier, la République non può continuare a denunciare semplicisticamente le vittime del «comunitarismo», dell’ «oscurantismo» e delle «patologie religiose». Innanzitutto, perché i profili dei terroristi parlano spesso d’altro: «Provengono tutti dalla delinquenza, da forme di desocializzazione, di decomunitarizzazione. Sono persone scaricate dall’insieme delle regolazioni sociali e comunitarie». Figure distinte, dunque, rispetto a quelle che restano saldate al tessuto sociale e religioso. L’attualità delle ultime settimane non ha riguardato più di tanto le moschee, ha pure osservato Liogier, intervenendo sulla radio pubblica nazionale. Per eliminare il terreno di coltura del terrorismo, le istituzioni francesi possono trascurare il principio di sussidiarietà? E la scuola pubblica, “baluardo” al centro di tanti auspici ufficiali di “emancipazione” dei giovani delle banlieue, può restare agganciata a una tradizionale diffidenza più o meno velata verso le religioni, nella lontana scia di albori ottocenteschi apertamente antireligiosi? In Francia, sono interrogativi ancora particolarmente scomodi, ma che in queste ore affiorano lo stesso da più parti. Bernard Perret, intellettuale nel comitato di redazione della rivista Esprit, ha evidenziato un «legame fra il nichilismo e l’assassinio purificatore, ovvero il cuore stesso del fenomeno terroristico». Ciò significa pure che i terroristi, in modo aberrante, tendono spesso a liberarsi del «peso di un’esistenza senza giustificazione». Per cui, trascurare pubblicamente ciò che può dare un senso alla vita, come i legami religiosi e la trascendenza, non rappresenta per nessuna società una buona vaccinazione contro la follia jihadista. In proposito, molto diretta è stata pure una lunga analisi di Henri Tincq, saggista ed ex firma di Le Monde sui temi religiosi. Titolo: «Il terrorismo ci obbliga a ripensare in fretta il fatto religioso ». Per Tincq, «relegando il fatto religioso alla sfera individuale e privata, ripiegandosi sulle parole feticcio di sicurezza e di laicità, la sinistra francese e belga, così come la destra, ha tardato a misurare delle aspirazioni nuove che riguardano una parte dei giovani, radicalizzati o meno, verso una sorta di trascendenza e di radicamento in un islam mitizzato». Tincq ricorda che fin dagli anni Sessanta e Settanta, il mondo delle istituzioni pubbliche francesi come la scuola, o almeno gran parte di esso, ha recepito e spesso rilanciato la tesi di un supposto ingresso del Paese in «un’epoca post- religiosa» già sventolata da certi pensatori. Ma subito dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, un noto filosofo come Régis Debray aveva lanciato un monito, sottolineando che «relegare il fatto religioso fuori dai perimetri della trasmissione razionale favorisce sul campo le patologie, piuttosto che sanarle». E adesso, pure il noto commentatore culturale Jean Birnbaum, nel saggio “Un silence religieux”. La gauche face au djiadisme (Seuil), biasima una «concezione rudimentale della religione» da parte della sinistra: in particolare, la sua «autentica incapacità a concepire la forza autonoma della spiritualità». Ma se il dibattito intellettuale si accende, pochi segnali concreti suggeriscono invece che simili interrogativi raggiungeranno presto i palazzi che contano nel panorama della politica transalpina. © RIPRODUZIONE RISERVATA Pattuglia di polizia di fronte alla cattedrale di Notre-Dame (Epa)
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