venerdì 14 settembre 2012
Dal Marocco allo Yemen è rivolta contro il film blasfemo. Washington invia due navi da guerra nelle acque libiche. Il governo libico: «Abbiamo già i nomi e le foto dei responsabili dell'assalto al consolato di Bengasi, 4 arresti».
Obama cerca sponde al Cairo
Africa, il campo di battaglia tra al-Qaeda e l'America di Camille Eid 
La prova di forza del radicalismo di Riccardo Redaelli
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Mentre gli Stati Uniti inviano due navi da guerra nelle acque antistanti la Libia, il governo di Tripoli prova a disinnescare la “bomba” Bengasi. Il governo ha deciso infatti di istituire una commissione d’inchiesta indipendente. «Sono stati presi tutti i provvedimenti necessari», ha spiegato il portavoce del ministero dell’Interno, Abdelmonem al-Horr. Il primo dubbio da sciogliere riguarda proprio la dinamica dell’attacco per capire se, come sembra, sia stato pianificato in anticipo utilizzando come pretesto l’indignazione per il film blasfemo della figura di Maometto. L’inchiesta, ha spiegato al-Horr, sarà molto difficile «perché la folla che ha fatto irruzione nel consolato era varia. C’erano estremisti, cittadini comuni, donne, bambini e criminali».Il neo primo ministro libico Mustafa Abu Shagur ha fatto sapere che il governo libico è «in possesso delle foto e dei nomi» degli attentatori di Bengasi. Gli arresti effettuati sarebbero quattro. Le indagini hanno «compiuto un grande passo in avanti». Ma ha anche detto che «non ci sono prove della presenza di al-Qaeda nel Paese». Shagur ha tuttavia specificato che «ci sono alcuni giovani influenzati dall’ideologia estremista di al-Qaeda» e che gli estremisti sono una minoranza in Libia con un «numero che non supera i 100 o 150. La gran parte dei giovani islamici in Libia sono moderati». Da parte sua, il vice ministro dell’Interno Wanis al-Sharif ha ribadito che «diversi» responsabili dell’attacco a Bengasi sono stati arrestati. Washington ha inviato due navi da guerra verso le coste libiche come «misura precauzionale». Le due unità, armate con missili Tomahawk, sono la USS Laboon e la USS McFaul.Chi sperava che l’orrore libico – l’attacco «militare» contro il consolato Usa, costato la vita all’ambasciatore statunitense Chris Stevens e altri tre funzionari ma anche ad almeno una decina poliziotti libici – potesse frenare la rabbia, è andato incontro a una cocente delusione. L’effetto contagio c’è stato. È rimbalzato, secondo copione, dal Medio Oriente fino all’Afghanistan e al Bangladesh, passando per Iran e Yemen. Diversa l’entità delle proteste, innescate da un film “fantasma”, di cui è circolato solo un trailer su YouTube (peraltro disattivato poi in Egitto e Libia). Si va dalle sparute proteste a Dacca (Bangladesh) ai morti a Sanaa, la capitale yemenita. Lo scenario è stato sempre lo stesso. Pietre, in alcuni casi picconi, usati come armi. Bandiere Usa calpestate o bruciate. Ovunque nel mirino c’erano le sedi diplomatiche a stelle e strisce.Sono centinaia i manifestanti riuniti a Sanaa, capitale dello Yemen, Paese nel quale infuria una vera e propria guerra con l’ala locale di al-Qaeda. Nel mirino c’è l’ambasciata Usa. Vengono bruciate alcune automobili davanti alla sede diplomatica. Scanditi slogan. Lanciate pietre. La folla tenta l’assalto. Alcuni manifestanti riescono a penetrare nel compound da un ingresso lasciato incustodito. La polizia spara. Almeno quattro manifestanti vengono uccisi. Il personale Usa, assicurano da Washington, «è al sicuro».A Teheran 500 giovani si radunano davanti all’ambasciata svizzera, che cura gli interessi americani in Iran. Appartengono alla Società degli studenti islamici, un gruppo universitario vicino all’Ayatollah Ali Khamenei. Urlano «Morte all’America». Sventolano bandiere dell’Egitto e della Libia. L’influente ayatollah iraniano Naser Makarem Shirazi esorta i musulmani di tutto il mondo a dare «una risposta contundente» a quelli che ha definito come «i complotti contro l’islam degli Stati Uniti e del regime sionista». L’ayatollah elogia la «reazione» al film amatoriale su Maometto prodotto negli Usa dei musulmani di molti Paesi.Al Cairo, dove era scoppiata la prima violenta protesta contro il film “blasfemo”, la gente è di nuovo in strada. “Punta” di nuovo l’ambasciata Usa. La polizia interviene lanciando lacrimogeni. Un veicolo della polizia viene dato alle fiamme. Almeno 16 manifestanti e 14 agenti della sicurezza rimangono feriti, in 200 ricevono assistenza medica. Copione simile in Marocco. A Casablanca, tra 300 e 400 attivisti islamici sono davanti al consolato degli Stati Uniti, in mezzo a una massiccia presenza della polizia. Scandiscono slogan anti-americani, tra cui «Morte a Obama!». Scattano gli arresti. In Bangladesh la protesta coinvolge cento studenti. Brucia la bandiera degli Stati Uniti. «L’America dovrebbe scusarsi immediatamente e arrestare le persone che hanno fatto il film», dice Shah Ahmadullah Ashraf, capo di un partito islamico. In Iraq centinaia di persone scendono in strada a Baghdad, nel quartiere di Sadr City, a Bassora e a Najaf. A Gaza centinaia di palestinesi rispondono alla chiamata di Hamas, che ha esortato i cittadini della Striscia a protestare contro il trailer del film blasfemo su Maometto Anche a Tel Aviv una sessantina di persone protesta. Nel mirino c’è l’ambasciata americana.In Afghanistan, infine, il governo ha definitivamente disposto il blocco «a tempo indeterminato» di Youtube. L’obiettivo è evitare che la popolazione possa vedere il film “L’innocenza dei musulmani”, che lo stesso presidente afghano Hamid Karzai ha bollato come un «insulto» alla religione islamica. Karzai ha rinviato la visita in Norvegia per timore che le proteste possano degenerare. «Preferisce rimanere nel Paese in questo momento critico», ha detto un consigliere del presidente. Oggi, con la preghiera del venerdì, si bissa.
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