mercoledì 3 agosto 2022
Lo stilista "eco-fashion" ha partecipato al raduno dei giovani ambientalisti a Torino: stop alle fibre sintetiche, utilizziamo quelle derivate da semi, steli, foglie e corteccia
Pathé Ouédraogo al lavoro

Pathé Ouédraogo al lavoro - Per gentile concessione

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Pathé Ouédraogo – noto come Pathé’O – è uno degli stilisti africani più conosciuti al mondo. Nato in Burkina Faso 71 anni fa, è emigrato, da ragazzino, in Costa d’Avorio, dove prima ha lavorato in un campo di patate e poi, col fratello, ha imparato il mestiere nella bottega di un sarto locale. “Il successo è arrivato con le sue celebri camicie sgargianti indossate da leader come Nelson Mandela. Ma anche dalla gente comune”, come ricorda la rivista Africa.

Pathé è uno stilista “eco-fashion”, curiosamente definito così, da qualche anno, da autorevoli magazine di moda di tutto il mondo. Con lui abbiamo voluto commentare, a margine del raduno dei giovani ambientalisti che si è svolto nei giorni scorsi a Torino, che cosa stia accadendo al suo continente, in preda a una gravissima crisi alimentare, peggiorata dalla guerra in Ucraina, ma sconvolto anche dall’inquinamento di cui è soprattutto vittima (e ben poco responsabile, come ha più volte ribadito l’attivista Vanessa Nakate).

"Ammiro molto questi giovani e li ho seguiti, lo scorso anno, prima nel loro impegno a Milano, poi in quello di Glasgow. E’ un vero dolore pensare che la situazione internazionale stia rallentando i principi della transizione verde. Io vivo in una zona del mondo dove tutto è straordinariamente bello e straordinariamente difficoltoso. La mia Costa d’Avorio, che ha ospitato la Cop 15, è un Paese emblematico riguardo la situazione che sta vivendo il pianeta e tutto il continente africano, in particolare nelle zone centrali, in quanto è largamente dipendente dal settore agricolo. Questo non solo occupa il 70% della forza lavoro, ma contribuisce anche, per un quarto dei prodotti, alle esportazioni all’estero. E’ incredibile che da noi ci sia emergenza alimentare, vista la nostra vocazione agricola, ma occorre esaminare due fattori spesso trascurati: siamo attrezzati per tenere in patria le nostre produzioni, con una buona conservazione dei prodotti, tale da fornire elementi nutrienti alle persone? Riusciamo a trattenere da noi quel che raccogliamo, senza essere totalmente dipendenti dai grandi circuiti esteri? Questa inoltre è solo una parte dei grandissimi problemi attuali africani, resi ancor più evidenti dalla lontana guerra russo-ucraina. L’altro problema riguarda l’attenzione al nostro stesso territorio. Secondo stime ufficiali, il 60% delle terre coltivabili in Costa d’Avorio è da rinvigorire, mentre le foreste sono drammaticamente passate da 16 milioni di ettari di superficie (nel 1960) a 3 milioni del 2018. Il governo ha elaborato una buona road map proprio per affrontare il fenomeno della desertificazione: fino al prossimo anno, il Paese punterà infatti a mettere fine al fenomeno del disboscamento o almeno ad attenuarlo".

Diversi studi scientifici hanno rivelato che l’industria tessile, col suo utilizzo di fibre sintetiche, è notevolmente dipendente dai combustibili fossili. La situazione è aggravata da un consumismo smodato, di bassa qualità, che va poi a rinfoltire le discariche, sprigionando sostanze inquinanti nel terreno e il metano nell’atmosfera. Lei ha scelto una politica della moda totalmente diversa. Può dirci qualcosa su come la creatività africana incontri l’ecosostenibilità e l’alta moda?

Dal Senegal alla Nigeria Fashion Week al Festival internazionale della moda di Niamey, l’african style sta dando una lezione al mondo sia sui canoni estetici sia sul tema ambientale, a iniziare da un corretto utilizzo delle materie prime, con tessuti dai colori e dai disegni tradizionali. L’usa e getta è il grave danno del nostro tempo, ma questo non vuol dire dover seguire una moda costosissima e inaccessibile. E’ la moda a dover cambiare le sue forniture e la sua ottica, privilegiando studi di settore ben più attenti alla scelta dei tessuti e alla loro fabbricazione. Anche la tecnica con cui si stampa un colore su una camicia fa la differenza.

Può farci un esempio?

Mi riferisco soprattutto all’importanza delle fibre vegetali ottenute dai semi, come il cotone, o dagli steli (come canapa e lino), dalle foglie (il sisal o il banano) o dalla corteccia di alberi e piante. Questi materiali sono attenti alle popolazioni locali e gli stilisti che decidono di servirsene in modo corretto, non solo compiono una scelta etica, ma fanno qualcosa di buono per il pianeta sul quale viviamo tutti.

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