venerdì 18 marzo 2011
Il Ppe promuove anche la «via europea» per la Bosnia. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha guidato il dibattito tra i colleghi europei. L'ex presidente libanese Amine Gemayel: «L'esempio di connivenza del mio Paese ha ottenuto ottimi risultati».
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Il Ppe richiama l’attenzione sui Bal­cani. Lo fa proprio da Sarajevo, la terra dalla pace fragile che vive una situazione di stallo per la mancata ele­zione della Camera dei Popoli, dal me­se di ottobre priva della rappresentan­za croata. Il Paese, come tutta l’area balcanica, può sperare soltanto nella Ue: è questa la conclusione del seminario che si è te­nuto ieri nella città bosniaca. Di Balca­ni, ma anche di minoranze religiose nel mondo e degli ultimi sviluppi tragici in Nord Africa, hanno discusso numerosi statisti che si identificano nel Ppe, coor­dinati dal ministro degli Esteri Franco Frattini.Un dibattito di poche ore, ma in­tenso. Vi hanno partecipato, tra gli altri, Bakir Izetbegovic, uno dei tre membri della presidenza della Bosnia Herzego­vina, Wilfried Martens, presidente del P­pe, l’ex presidente libanese Amine Ge­mayel e Gordan Jandrokovic, ministro degli Esteri della Croazia. Da Sarajevo, intanto, un impegno: un meeting inter­nazionale del Ppe dedicato interamen­te al dialogo tra le tre religioni monotei­ste, con la presenza del figlio di Shahbaz Bhatti, il ministro cattolico per le Mino­ranze pachistano assassinato dai tale­ban agli inizi di marzo. A Sarajevo i partecipanti al seminario si impegnano dun­que a favorire la strada europea per la Bosnia. «Per il Paese e il resto dei Balcani occidenta­li – dice infatti il mi­nistro Frattini – non vedo alterna­tive all’integrazio­ne nella Ue. Del re­sto tutti i Paesi della regione balcanica si stanno avvicinando in vario modo al­l’Europa». Da ultimo, infatti, spicca il ca­so della Croazia, il cui negoziato di ade­sione alla Ue è giunto alle battute fina­li: la procedura dovrebbe concludersi entro il mese di giugno. Anche per la Bo­snia, proprio per le ultime difficoltà po­litiche, occorrono tempi rapidi: «Ci so­no le condizioni – dice Frattini – per tro­vare l’accordo sul nuovo governo, e ne­gli ultimi giorni, se non nelle ultime o­re, l’Italia ha partecipato attivamente al­la ricerca di un accordo. Si era a un pas­so dalla soluzione che però è sfumata. Ma continueremo a lavorare». Questa stabilità è la condizione principale per bussare alle porte della Ue, co­me sottolinea anche Wilfried Martens: «For­mare un nuovo gover­no è una necessità per la Bosnia se vuole man­tenere la prospettiva europea. Tutti i Paesi dei Balcani – aggiunge – so­no Paesi europei che si stanno confron­tando ora su come arrivare alla riconci­liazione dopo i drammi della guerra». A Sarajevo è Amine Gemayel a soffer­marsi sulla questione delle minoranze religiose, e cita l’esempio del suo Paese: «In Libano – spiega – c’è sempre stato un dialogo permanente tra le religioni e speriamo di mantenere l’armoniosa coesistenza tra le varie fedi. Il nostro è un contributo profon­do al dialogo interreligio­so a livello universale». Sarà sempre possibile, anche con il governo di Najib Mikati che si ritiene sia sostenuto da Hezbol­lah? «Sul dialogo – dice Gemayel – abbiamo avu­to ottimi risultati, nonostante interfe­renze straniere nei nostri affari interni. Siamo in grado di mantenere e miglio­rare questo dialogo di coesistenza ar­moniosa con l’aiuto di amici che capi­scono l’importanza dell’esperienza li­banese».L’incontro di Sarajevo si è soffermato an­che sulla situazione libica, con Ghedda­fi bocciato anche nei Balcani. Il leader li­bico – dicono gli esponenti del Ppe – è il solo ostacolo al dialogo in Libia. «Le op­posizioni – sintetizza Frattini – vogliono un sincero dialogo, ma non con chi ha sparato su di loro».
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