venerdì 29 aprile 2016
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L’unica certezza è che non si ritirerà prima della convention democratica di Filadelfia a luglio. Eppure il senatore del Vermont Bernie Sanders sembra ormai aver compreso, dopo le sconfitte di martedì nell’ultimo turno di primarie contro Hillary Clinton, che sarà pressoché impossibile per lui ottenere la nomination del partito. Cosa fare allora per non disperdere il patrimonio di credito ottenuto dalla “rivoluzione Sanders”? «Siamo in questa campagna per vincere, ma se non vinceremo intendiamo aggiudicarci ogni delegato possibile in modo da andare a Filadelfia con l’agenda progressista più forte che si sia mai vista », ha sottolineato l’altra sera in un discorso il senatore “socialista”. L’obiettivo, insomma, è di mantenere forza e peso politico conquistati in questi mesi in modo che la convention, pur incoronando Hillary, debba adottare una piattaforma politica spostata a sinistra per “concedere” alla candidata i voti di Sanders. Pur essendo ormai molto staccato nella conta dei delegati necessari per la nomination, Sanders ha ottenuto un enorme risultato con una campagna elettorale che ha superato ogni aspettativa, raccogliendo ed entusiasmando un movimento progressista di base che l’establishment democratico non potrà ignorare se vuole vincere le elezioni presidenziali di novembre. «Ha dato vita ad un nuovo, potente e duraturo movimento di base in seno al partito – sottolinea Robert Shrum, stratega democratico di lungo corso –. Ha portato dentro la politica un’intera nuova generazione». Anche guardando ai numeri, Sanders ha avuto un successo impensabile all’inizio della campagna, vincendo in 18 Stati, raccogliendo un’enorme quantità di denaro, senza super Pac e senza, a differenza di Hillary Clinton, le grandi donazioni delle corporation, ma solo grazie a milioni di piccole donazioni online di singoli elettori. E grazie al senatore che ha infranto un enorme tabù, vincendo pur dichiarandosi «socialista» in America, questioni come le diseguaglianze di reddito e la riforma dei finanziamenti elettorali sono arrivate al centro del dibattito elettorale. «Direi che Bernie Sanders ha ottenuto tutto quello che voleva, tranne vincere la nomination», sintetizza Brad Bannon, un altro stratega democratico, ricordando che un anno fa nei sondaggi il senatore era al 6% e Clinton al 56% mentre oggi il distacco si è ridotto a tre punti. Tra maggio e giugno Sanders – che nel frattempo ha già tagliato centinaia di dipendenti del suo staff – potrebbe ancora vincere in diversi Stati: West Virginia, Oregon, Montana, North Dakota e South Dakota. Non servirebbe a ottenere la nomination, ma aumenterebbe così la sua leva politica sulla convention. Hillary ha già ricordato che nel 2008, sconfitta da Barack Obama alle primarie, non pose condizioni per il suo sostegno al vincitore. Ma cosa farà Sanders è ancora tutto da vedere. Definirà di nuovo Hillary «incompetente» come ha fatto ancora dieci giorni fa? Tra i suoi obiettivi ci sono l’adozione di una carbon tax, l’innalzamento a 15 dollari del salario minimo, l’università gratuita per tutti, più tasse per i ricchi. Sfide ambiziose che hanno “costretto” in questi mesi Hillary a spostare il suo focus più a sinistra. Quanto ancora l’ex first lady dovrà seguire questo percorso, una volta ottenuta la nomination, è difficile da prevedere. © RIPRODUZIONE RISERVATA Bernie Sanders ha conquistato 1.370 delegati (Ap)
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