venerdì 15 febbraio 2019
La Spagna torna al voto il 28 aprile per scegliere il nuovo Parlamento. Lo ha annunciato il premier socialista, Pedro Sánchez, dopo il Consiglio dei ministri straordinario
Sánchez annuncia le elezioni in Spagna: il 28 aprile
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Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha annunciato ai suoi ministri che le elezioni generali anticipate si terranno il 28 aprile prossimo.

Le tappe della crisi di governo

1º giugno 2017: Pedro Sanchez presenta la mozione di censura al premier Mariano Rajoy, leader del Partido Popular assediato dalle condanne per corruzione. Con i voti di Podemos, Compromis, dei baschi PNV e Bildu e dei catalani Erc e PDeCat, diventa presidente del governo.

8 febbraio 2019: il governo da’ per rotto il negoziato con i sovranisti di Erc e del PDeCat, che in cambio del voto sulla Finanziaria reclamano il diritto all’autodeterminazione e l’ingerenza nel processo in corso contro i 12 leader indipendentisti per l’autunno secessionista e del 2017.

13 febbraio 2019: il progetto di legge di bilancio è bocciato alle Cortes con i voti contrari di Erc e del PDeCat che si uniscono a quelli delle forze di centro-destra del Pp e di Ciudadanos, accelerando la fine della legislatura sulla durata naturale del 2020.

La sorte della Finanziaria e del governo di Spagna è stata decisa a Waterloo da un ex president catalano in fuga dalla giustizia. È la sintesi che circolava ieri nei corridoi delle Cortes, dopo la bocciatura in Aula del progetto di legge di bilancio socialista, con i voti dei partiti di centro-destra, Pp e Ciudadanos, e degli indipendentisti catalani, che apre la strada al ritorno alle urne. Il terzo in due anni, il segnale dell’instabilità del quadro politico, aggravata dall’irrisolta questione catalana. Una crisi annunciata, dopo il rifiuto del premier socialista Pedro Sánchez di cedere al ricatto dei secessionisti e di negoziare l’autodeterminazione della Catalogna o di «ingerenza politica» nel processo giudiziario in corso contro il 12 leader indipendentisti davanti alla Corte suprema. Dopo la votazione, Sánchez ha abbandonato l’Aula senza fare parola e sarà solo venerdì, dopo il Consiglio dei ministri, che scioglierà la riserva sulla convocazione delle politiche, prerogativa esclusiva del capo del governo. Potrebbe decidere di indire le urne anche fra sei mesi. Anche se ormai neanche lui ritiene possibile prolungare a colpi di decreti una legislatura costretta nella camicia di forza della Finanziaria approvata a suo tempo dal governo Rajoy.

«Le elezioni devono essere quanto prima, per frenare il degrado economico e il discredito internazionale provocato dal negoziato con i secessionisti », ha incalzato il leader del Popolari, Pablo Casado. «Non può continuare ad agonizzare una legislatura nata morta. Per frenare il separatismo, bisogna andare alle urne», ha rincarato il segretario di Ciudadanos Albert Rivera. Inutile rilevare che è stato proprio sulla mancata trattativa che Sánchez è caduto. Così come inutili i tentativi in extremis fatti dal Psoe, da Podemos e dai nazionalisti baschi del Pnv di salvare l’iter alla Camera della legge di Bilancio, sbarrato sul nascere dai sei emendamenti alla totalità – presentati dai repubblicani di Erc, dal PdeCat, oltre che dal Pp, Ciudadanos – approvati in votazione unica con 191 voti a favore, 158 contrari e 1 astensione. Il Psoe non è riuscito a coagulare la maggioranza, che a giugno votò la mozione di sfiducia a Mariano Rajoy, sulla Finanziaria «più sociale della democrazia », come l’ha difesa in aula la ministra alla Finanze, Maria Jesus Montero. L’aumento della spesa sociale fino al 57%, con l’incremento di pensioni, del salario minimo interprofessionale a 900 euro, degli aiuti alla dipendenza, alle famiglie a rischio di povertà energetica e nemmeno gli oltre 2 miliardi di investimenti in Catalogna sono bastati a persuadere gli indipendentisti.

La concomitanza del voto sulla Finanziaria con l’inizio del processo ai dirigenti catalani ha alterato i piani di Sánchez di mantenersi al governo fino al prossimo autunno. Il negoziato avviato su un tavolo di dialogo sulla questione catalana è finito sotto attacco dell’opposizione al «traditore», colpevole di aver «umiliato» lo Stato con le presunte concessioni. Sul fronte opposto, i sovranisti catalani, che lo hanno accusato di non voler negoziare l’autodeterminazione, per aprire a un referendum legale. Escludendo per le politiche la “superdomenica” elettorale del 26 maggio, si valutano come possibili date il 17 o il 28 aprile. Si votasse subito i socialisti vincerebbero le elezioni – stando ai sondaggi – ma senza una maggioranza progressista; mentre l’exploit di Vox garantirebbe un governo del Pp con Ciudadanos, come in Andalusia. Tuttavia la sovrapposizione fra i tempi della politica e quelli giudiziari rischia di essere ancora più decisiva, considerato che Vox è accusa popolare nel processo contro i leader catalani.

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