lunedì 22 maggio 2017
No alle minacce nei confronti di Trump. Il paradosso: si possono pubblicare immagini di aborti, basta che non contengano nudità.
Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg

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"Qualcuno spari a Donald Trump" è da cancellare, subito: il presidente degli Stati Uniti ha più di 100mila follower, quindi è una personalità pubblica, oltre ad essere un capo di Stato, e pertanto deve essere tutelato. Ma i video di morti violente è sufficiente segnalarli come irritanti, perché potenzialmente potrebbero persino essere utili ad un'indagine, o a una ricerca scientifica. E se il revenge porn - cioè le immagini a tema sessuale che vengono pubblicate per "vendicarsi" di un ex partner – è codificato in modo scrupoloso, immagini di violenza sui bambini possono essere bloccate solo se a sfondo sessuale, o accompagnate da un contesto di sadismo. Il paradosso arriva con l'autorizzazione a far pubblicare immagini di aborti, basta che non contengano nudità.

Sono i Facebook files, le lunghe e articolate linee guida che Facebook ha introdotto da un anno a questa parte, da quando cioè si scatenarono le polemiche per la sua decisione di eliminare una delle foto più famose degli ultimi decenni: quella della bambina vietnamita che fuggiva nuda su una strada sterrata per salvarsi dal napalm degli americani. Motivo: era nuda, ed era una bambina. Ma era anche la più toccante immagine di guerra dello scorso secolo, insieme alla "Morte del miliziano" di Robert Capa.
In tutto sono un centinaio tra manuali, direttive e indicazioni impartite dalle alte sfere di Facebook ai mediatori, coloro che "in appena 10 secondi" devono decidere cosa pubblicare e cosa eliminare. A rivelarne l'esistenza il quotidiano britannico The Guardian, al termine di una lunga indagine. Un'inchiesta che "è destinata a gettare benzina sul fuoco del dibattito sul ruolo e la dimensione etica del gigante dei social media", che deve confrontarsi con una dura realtà provocata dal suo stesso gigantismo. "Facebook non è in grado di controllare i suoi contenuti. È cresciuto troppo, troppo velocemente", ha affermato una fonte al Guardian.

Troppo grande per essere un semplice mezzo usato da singoli per restare in contatto, Facebook ha attualmente due miliardi di utenti: somiglia più ad un megaeditore che non ad una semplice piazza virtuale, dove la gente si incontra per caso dopo anni e fa quattro chiacchiere. È fonte di notizie, è rete di scambi. Gestisce tanta parte delle novità che attraversano il mondo più avanzato. È, potenzialmente, un grande censore.


Ai moderatori viene indicato come agire. Questi, tuttavia, devono muoversi su un filo sottile tra la necessità di cancellare contenuti violenti e quella di tutelare il diritto all'espressione. Il confine è sottile. Per esempio, viene ammesso il fatto che Facebook possa mandare in diretta tentativi di autolesionismo, perché non si vuole "censurare o punire persone in difficoltà". Immagini di abusi non fisici o di bullismo tra i bambini possono però paradossalmente restare, se non hanno intenti sadici o celebrativi.


Interpellate dal Guardian, fonti di Facebook hanno risposto che esistono e vengono usati alcuni software per intercettare alcuni tipi di contenuto grafico prima che entrino nel circuito, ma che "si vuole che la gente sia messa in condizione di discutere gli avvenimenti attuali e globali, quindi talvolta ha la sua importanza il contesto in cui viene condivisa un'immagine violenta". In termini pratici: dopo aver rimosso la foto della bambina vietnamita, nel capitolo dedicato alle rappresentazioni del "terrore della guerra" adesso sono accettate alcune "eccezioni di importanza informativa". Ma non si deve trattare di "nudità infantili nel contesto dell'Olocausto".


La riflessione sui contenuti dei social network, recentemente, ha raggiunto un nuovo picco, anche in seguito a eventi di cronaca che hanno acceso un faro sulla capacità dei gestori degli stessi di controllarne i contenuti. Suicidi in seguito a persecuzioni sui social, ma anche uccisioni avvenute in livestream hanno portato a puntare il dito contro queste piattaforme.
Anche i guru del settore stanno ragionando sul peso che le loro invenzioni hanno nella vita della gente e dei Paesi. Per esempio, in un'intervista al New York Times, il cofondatore di Twitter Evan Williams ha fatto un'autocritica: "Senza Twitter probabilmente Trump non sarebbe diventato presidente. Mi dispiace". Lo stesso presidente americano alcune settimane fa ha affermato che senza Twitter non avrebbe conquistato la Casa Bianca. Trump ha 30 milioni di follower sul suo account personale e viene criticato perché comunica tramite Twitter scavalcando spesso i media tradizionali.


Williams, 45 anni - che fondò Twitter nel marzo 2006 insieme a Jack Dorsey, Noah Glass e Biz Stone - si dice anche pessimista sul futuro dei social media: "Internet si è rotto, si è incamminato su un percorso buio. E le cose andranno peggio, basta vedere le persone che su Facebook postano in diretta suicidi, pestaggi o assassinii". Una serie di abusi che per l'imprenditore della Silicon Valley non risparmiano Twitter. "Una volta pensavo che il mondo sarebbe stato automaticamente migliore una volta che ognuno fosse stato libero di parlare liberamente e scambiare informazioni ed idee. Mi sbagliavo".

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