venerdì 17 febbraio 2017
In un appello pubblico sollecita coloro «che la pensano come lui a sollevarsi». Perché l'elettorato britannico non ha «chiaro il senso di dove si stia andando»
L'ex premier laburista Tony Blair lancia una campagna contro la Brexit (Ansa/Ap)

L'ex premier laburista Tony Blair lancia una campagna contro la Brexit (Ansa/Ap)

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Lo scorso anno, durante il dibattito che, in Gran Bretagna, ha accompagnato il referendum sulla Brexit, ovvero l'uscita dall'Unione Europea, l'ex premier Tony Blair, l'uomo della terza via, non aveva proprio indicato la strada. Non si era battuto con molto calore per la permanenza in Europa. Era chiaramente contrario all'addio. Ma, al di là di qualche conferenza pagata, non era sceso in campo con decisione per appoggiare il fronte del “remain». Lo fa ora, a poco meno di un mese dall'avvio (probabile) della procedura a Bruxelles che Theresa May innescherà invocando il famigerato articolo 50 sull'uscita di un Paese membro dall'Unione dei 28. Ora l'ex premier laburista lancia la sua campagna contro la Brexit, nella speranza che la Gran Bretagna possa ripensarci, con un appello pubblico in cui sollecita coloro che la pensano come lui a «sollevarsi».
In un discorso dai toni polemici citato dalla Bbc dice di rispettare il voto del referendum di giugno, ma aggiunge che la gente ha deciso «senza conoscere i veri termini della Brexit». Ma Downing Street replica seccamente: il divorzio dall'Ue si farà. «La nostra sfida sarà ora evidenziare incessantemente i costi» della Brexit, insiste Tony Blair annunciando la nascita di un movimento d'opinione per convincere il Paese a un ripensamento.
L'ex premier laburista - che aggiunge di essere pronto a discutere di limitazioni all'immigrazione, negando però che l'uscita dall'Ue possa di per sé garantirle - non dice come questo ipotetico ripensamento possa avvenire (in passato ha evocato un secondo referendum dopo i negoziati con Bruxelles o elezioni anticipate), ma accusa comunque il governo Tory di Theresa May d'aver sposato una linea che non sarebbe neppure più quella di «una hard Brexit, bensì di una Brexit a tutti i costi». Una strada che a suo giudizio l'elettorato britannico dovrà essere messo in qualche modo in condizione di ridiscutere «quando avrà chiaro il senso di dove si stia andando».

«Arrogante e antidemocratico»

Netta la replica di Downing Street, un cui portavoce è tornato a escludere ogni velleità d'un secondo referendum, mentre ha ribadito che il governo «resta assolutamente impegnato» ad avviare l'iter di separazione dall'Ue entro fine marzo, nel rispetto della volontà popolare. Irridenti, poi, le prime reazioni dal gruppo conservatore ai Comuni - che proprio nei giorni scorsi hanno approvato a schiacciante maggioranza la legge che autorizza l'esecutivo ad avviare i negoziati d'uscita dall'Unione Europea attivando l'articolo 50 del Trattato di Lisbona - con riferimenti ironici all'impopolarità attuale dell'ex leader del New Labour. Non solo: Iain Duncan Smith, ex ministro Tory ed euroscettico storico ha additato l'intervento di Blair come «arrogante e totalmente antidemocratico”.

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