mercoledì 11 settembre 2013
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«Ricordo la grande impressione del momento. Ricordo con chi stavo parlando quando ebbi la notizia. E ricordo anche un Paese che sapeva sentirsi interessato e coinvolto dai fatti di una realtà lontana come il Cile». Andrea Riccardi, ex ministro, docente di Storia contemporanea e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, rivive il golpe dell’11 settembre 1973 sull’onda di questa immagine di grande sensibilizzazione capace di coinvolgere una nazione come l’Italia ben al di là della vicenda legata alla presenza in Cile di tante famiglie di nostri emigrati.Vuole dire che oggi non ci sarebbe una simile forma di interesse?Voglio dire che in quel periodo c’era grande sensibilità per le vicende di politica estera o anche per grandi questioni umanitarie come l’emergenza del Biafra. Penso al Vietnam, all’apartheid in Sudafrica o anche alla liberazione di Angola e Mozambico. In parte si trattava di passioni guidate da una certa politica.Certo, adesso si possono agevolmente vedere i limiti di quelle passioni che coinvolsero tanti giovani, ma, ripeto, questo mi fa anche pensare come oggi ci sia scarso interesse in favore di quello che accade in Paesi lontani. Le passioni di oggi mi sembrano "autocentrate" e quindi anche un po’ tristi. E poi ci fu il grande impegno, il grande lavoro della diplomazia italiana in favore dei rifugiati cileni. Storie che ho riletto in un interessante libro scritto dall’allora ambasciatore italiano a Santiago.Insomma, da quella vicenda abbiamo tante cose da imparare.Uno dei primi a imparare fu Enrico Berlinguer. La sua riflessione sul caso cileno fu fondamentale per il nostro Paese. Lui si rese conto che la sinistra in un Paese come l’Italia non poteva governare con una maggioranza ristretta. Sull’onda di questo ragionamento nacque il compromesso storico. Certo, nella nostra epoca di bipolarismo questi pensieri possono sembrare lontani, ma devono farci riflettere. All’epoca si comprese che per governare un Paese come l’Italia si doveva pensare a grandi coalizioni fra le forze politiche storiche. La Democrazia cristiana cilena non faceva parte della maggioranza del governo Allende, al quale aderirono invece dei cristiani piuttosto estremisti che crearono difficoltà allo stesso presidente...E Pinochet ebbe l’appoggio degli americani...Allende era stato eletto nel 1970 e nel 1973 la situazione era piuttosto caotica in Cile, sia per la virulenza dell’opposizione che per le scelte del governo. Così il colpo di stato ebbe l’appoggio americano con l’idea di risolvere quello che veniva considerato un rischio per la democrazia. Allende, si diceva, stava distruggendo la democrazia. Ecco allora che nasce una terza riflessione, un interrogativo: quando ci sono governi nati da maggioranze elette democraticamente, che sembrano mettere a rischio le basi democratiche dello Stato, è giusto, è legittimo intervenire militarmente in nome della democrazia?Un interrogativo attuale.Ce lo siamo posto in seguito alla vicenda egiziana del presidente Morsi deposto dai militari. Analogamente ce lo ponemmo con la vicenda algerina, quando nel ’92 i militari sospesero le elezioni. Ecco, mi sembra che la storia cilena mostri che non si salva la democrazia con i golpe.Anche perché in Cile in un primo momento non erano tutti contro Pinochet.Bisogna infatti ricordarsi che nel ’73, mentre in Italia l’opposizione a Pinochet era molto ferma, in Cile non era così. C’era una vasta area di cauto appoggio all’iniziativa militare, anche in alcuni ambienti della Chiesa, seppure con notevoli preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani. Poi, però, la Chiesa passò nettamente all’opposizione rendendosi conto che la dittatura non era transitoria. E qui bisogna ricordare il ruolo che ebbe in seguito Giovanni Paolo II nella transizione alla democrazia.È anche vero che in Italia una certa propaganda ci ha fatto vivere i fatti cileni in maniera a tratti esasperata.Chiaro che la propaganda di sinistra ha utilizzato molto anche l’impressione suscitata dai racconti della morte di Allende. In quella propaganda ci furono forzature e aspetti negativi, però si tratta di cose che impallidiscono, secondo me, di fronte alle tre riflessioni che abbiamo fatto su quel periodo: il grande interesse dell’opinione pubblica per i temi internazionali; l’analisi di Berlinguer sulla necessità di un largo consenso per governare; il fatto che la democrazia non si salva attraverso la violenza.
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