sabato 25 gennaio 2014
​​Siria. La Conferenza di pace Brahimi convince le parti dopo i colloqui separati. Kerry: Assad non ha futuro I delegati siriani avevano minacciato di lasciare il vertice. È sempre scontro sull’ipotesi di un governo di unità nazionale per la transizione. Nei campi profughi ancora morti per fame: 63 in tre mesi a Yarmuk.
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Costretto, come sem­pre da un anno e mezzo, a fare la spo­la tra le due delegazioni si­riane: sulle spalle del me­diatore dell’Onu per la Siria, l’algerino Lakhdar Brahimi, la responsabilità di non far saltare dopo un solo giorno i negoziati fra il governo di Damasco e l’opposizione. Una fatica di Sisifo, forse premiata con un primo, ti­mido risultato.
Attorno allo stesso tavolo, come si temeva alla vigilia, i pro-Assad e l’opposizione ieri non si sono mai seduti: sfumata, dopo una raffica di dichiarazioni minacciose, pure una riunione introdut­tiva congiunta. «L’incontrò avverrà in due stanze sepa­rata e Brahimi parlerà ad o­gni parte separatamente. Prima alla delegazione del regime e poi a quella del­l’opposizione », facevano sa­pere a metà mattina fonti di­plomatiche.
L’opposizione che ha sosti­tuito in corsa il capo delega­zione – Badr Jamous, segre­tario generale della Coali­zione nazionale siriana al posto del presidente Ahmed Jarba – voleva, da parte di Damasco, la sottoscrizione della dichiarazione di Gine­vra 1 che chiede la forma- zione di un governo di tran­sizione di unità nazionale quale pre-condizione irri­nunciabile. Immediata la replica del vi­ce- ministro degli Esteri si­riano Faysal Miqdad ai gior­nalisti presenti a Ginevra: il governo siriano non è di­sposto a cedere il potere e «sogna chi pensa di discute­re la rimozione del presi­dente Bashar al-Assad». «Siamo qui per negoziare dei cessate il fuoco», ha aggiun­to.
Questa la polemica come premessa a una veloce oro di colloquio fra il ministro degli Esteri Walid al-Mual­lem e il mediatore Brahimi. Al termine il minaccioso monito del rappresentante di Damasco: o il confronto «diventerà serio» entro 24 o­re o i rappresentanti di Da­masco oggi lasceranno Gi­nevra. Nel pomeriggio, mentre l’opposizione era riunita con Brahimi, dal Worl economic forum di Davos giungeva l’avvertimento – sempre lo stesso – da parte del segre­tario di Stato statunitense John Kerry: il presidente si­riano Bashar al-Assad «non può far parte del futuro» del suo Paese perché ha perso la sua legittimità «uccidendo e gasando» il suo popolo, quindi non potrà esserci «stabilità senza di lui».
Poco prima sempre da Da­vos, il ministro degli Esteri i­raniano Javad Zarif chiedeva a «tutti i combattenti stra­nieri » compresi gli Hezbol­lah libanesi alleati di Assad, di lasciare la Siria, «perché non c’è una soluzione mili­tare al conflitto». Inviti a u­na tregua regionale, sia pu­re con prospettive opposte, condivisi pure dal rappre­sentante dell’Arabia Saudi­ta Turki al-Faisal che pole­mizzando con Washington chiedeva una risoluzione delle Nazioni Unite che spin­gesse «le milizie irachene e libanesi» fuori dalla Siria. Forse un concerto interna­zionale per imporre una tre­gua o almeno l’apertura di corridoi umanitari, obietti­vo minimo nella tragedia del popolo siriano.
L’ultima quella nel campo profughi di Yarmuk, alla periferia di Damasco, dove 63 persone, tra cui donne e bambini, so­no morte di fame e stenti ne­gli ultimi tre mesi, stando l’Osservatorio nazionale per i diritti umani. Il campo da oltre un anno è assediato dalle truppe del regime e teatro di scontri tra milizia­ni ribelli e lealisti. A sera, però, Brahimi poteva segnalare un piccolo passo in avanti: «Ho incontrato se­paratamente le due delega­zioni » e ora ci aspettiamo «che si incontreranno diret­tamente nella stessa stanza», ha spiegato Brahimi. «I col­loqui con le due parti sono stati incoraggianti». La base dei negoziati diretti saranno le conclusioni di Ginevra 1. Brahimi pensa che «le due parti lo abbiano compreso molto bene e lo accettano». Nessuno, ha assicurato, la­scerà Ginevra nel week end. Piccoli passi, ma in avanti.
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