martedì 18 dicembre 2012
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​Nipote del fondatore del Regno dell’Arabia saudita Abdulaziz al Saud (e del padre della patria e primo ministro del Libano indipendente Riad el-Sohl), il principe Alwaleed Bin Talaal Bin Abdulaziz Al Saud è una personalità che ama distinguersi. Non solo per le immense fortune che lo rendono l’arabo più ricco del Medio Oriente (la sua Kingdom Holding Company detiene, oltre alla proprietà di Citigroup Bank, investimenti in innumerevoli marchi famosi) quanto per il vigore posto nell’accostare due termini che altri contrappongono nell’atto di decifrare il Regno amministrato da re Abdullah. I due termini sono tradizione e modernità. Basta entrare nella Kingdom Tower a Riad e guardare la città dai lussuosi piani alti dove il principe lavora per comprendere quanta accortezza occorra per non cadere nei cliché. Perché lì sotto è in atto l’evoluzione di una società che spazia dalle famiglie tradizionalmente custodi dell’ortodossia wahabita – gli Ash al Sheikh prima degli Al Saud – ai giovani in cerca di un proprio ed originale spazio sino alle frange catalogabili come "non lontane" dall’estremismo intollerante. Su tutto il fortissimo collante identitario dell’antica cultura beduina – il simbolo stesso del Regno, le due spade incrociate sotto la palma, sta a significare che qui lo straniero (tra cui i tantissimi cristiani immigrati) deve accettare lo stile e i dettami dell’ospitalità locale. Qui siamo nella culla dell’Islam, dove le brochure ufficiali recitano che «la Costituzione del Paese è il Libro di Dio e la Sunna del Profeta e qualunque aspetto per cui si differisca verrà riferito ad ambedue queste sorgenti del diritto, fonti ultime di ogni regolamento in vigore nel Regno». C’è più di qualcuno a Riad che sotto la spinta del sovrano immagina di produrre un’alchimia: un Regno religiosamente conservatore che detiene i luoghi più santi dell’Islam e che allo stesso momento introduca vere riforme per tutti i sauditi. Ma per far questo occorre stabilità. Necessaria per offrire quel gesto di amicizia che i cristiani nel Regno s’attendono proprio da questa leadership. Il 26 novembre scorso a Vienna si è inaugurato il «King Abdullaziz Centre for interreligious and intercultural dialogue», un progetto congiunto del governo saudita, austriaco e spagnolo. La Santa Sede c’è in qualità di osservatore, ma è anche un fondatore.
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