sabato 19 novembre 2022
Nella regione di Kherson la situazione è difficile. Intanto il governo chiede alle famiglie di lasciare il Paese per i mesi invernali. Molti stanno andando in Moldavia
I sacchi azzurri contengono resti delle vittime

I sacchi azzurri contengono resti delle vittime - Credit: Mariano Salomone

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«Nero: intero. Azzurro: i pezzi», ordina meccanicamente il sergente ucraino. Nei grandi sacchi scuri vanno i resti di chi ha ancora gli arti attaccati, in quelli turchese quel che resta di uomini e donne fatti a brandelli dalle esplosioni o dal calibro 51 dei cecchini, capace di sfondare anche l’acciaio dei giubbotti antiproiettile. Erano lì, immobili, da oltre due mesi.

A Olexandrivka solo i cani si avvicinavano ai corpi. E hanno finito per cominciare a sbranarli. In gran parte civili sull’unica via d’evacuazione verso le zone controllate da Kiev, perciò bersagliati dai battaglioni di Mosca. Ma quando pochi giorni fa i russi sono scappati hanno lasciato sul terreno campi minati e quintali di munizioni. Sembrava difficile spiegarsi il perché, durante la precipitosa ritirata alle spalle di Kherson, avessero abbandonato casse di proiettili e perfino camionette con il pieno di benzina. La spiegazione è nel volto ossuto di un nonnetto sdentato. «La sera si ubriacavano», racconta ricordando l’inferno di avere i russi in casa.

«Facevano anche a botte e io dovevo separarli», dice. Intanto, pensava a qualche azione di sabotaggio. E si è capito nel giorno della fuga, quando i russi del quartiere sono rimasti quasi tutti a piedi. Durante la notte l’insospettabile vecchietto usciva a prendere un po’ d’aria. Che male poteva fare un nonnetto magro e dal passo stanco. E nel buio gettava sabbia nei serbatoi dei mezzi militari e delle auto che i russi avevano requisito ai pochi residenti rimasti. «Gli bucavo le ruote con un punteruolo», racconta con le lacrime per lo scampato pericolo e il sorriso di chi senza premere il grilletto ha sconfitto il nemico. Quando gli occupanti sono dovuti scappare, inseguiti dalle forze di Kiev, molti militari sono rimasti indietro e hanno dovuto arrendersi all’esercito ucraino.

La gente del posto sapeva che qualche casupola più in là c’erano i cadaveri dei loro conoscenti, inseguiti dal piombo durante le evacuazioni. Poco distante anche i resti degli incursori di Kiev caduti in qualche agguato. Sul ciglio di una strada secondaria che in meno di un un’ora attraverso i campo collega Mykolaiv a Kherson, c’è ancora la Ford del tassista morto mentre a fine agosto accompagnava il giornalista italiano Mattia Sorbi, rimasto ferito ma sopravvissuto. Ci sono voluti più di due mesi perché il corpo venisse restituito alla famiglia.

Anche a Snigurivka, finalmente raggiunta dai primi giornalisti, si cercano quanti mancano all’appello. Erano in 10mila prima del 24 febbraio. Sono rimasti in meno di 4mila. Le notizie di esecuzioni sommarie compiute per ordine di Yuri Barbashov, un trafficante di droga del Donbass assurto a capobanda e poi governatore di Snigurivka, trapelavano grazie a qualche residente. Il cimitero negli ultimi mesi è stato ingrandito.

Venerdì sera il capo sminatore arrivato per bonificare il perimetro intorno alle piccole croci è saltato in aria e solo la presenza di un piccolo ospedale gli ha salvato la vita, ma non le gambe. Merito di quei medici che con uno stratagemma hanno curato decine di civili feriti. I russi, infatti, avevano distrutto il sistema idrico per piegare la popolazione. Ma poi, rimasti in città, sono rimasti prigionieri della propria efferatezza e dei mancati rifornimenti dalle retrovie. Niente acqua e niente elettricità.

«Si sono presentati nel nostro ospedale - racconta un dottore - ordinandoci di farli accedere alla nostra riserva idrica, ma il nostro problema era la mancanza di corrente per poter curare i pazienti». Allora i dottori si sono inventati una storia: «Per far scorrere l’acqua ci servono dei generatori di corrente». Poco dopo i russi sono tornati con un gruppo elettrogeno e carburante a volontà. «Abbiamo finto di riattivare l’impianto idrico e così loro hanno avuto l’acqua e noi l’elettricità per tenere accese le macchine sanitarie».

I sacchi neri contengono i corpi interi delle vittime

I sacchi neri contengono i corpi interi delle vittime - Credit: Mariano Salomone

Della cittadina non restano che macerie, l’intera periferia è stata un campo di battaglia. Chi è rimasto racconta di come un centinaio di compaesani se ne siano andati insieme ai russi. Nei mesi di occupazione hanno collaborato con gli uomini di Barbashov indicando anche quali famiglie hanno parenti nell’esercito ucraino. Altri sono sospettati di collaborazionismo, come il falegname del paese, arrestato perché aveva eseguito lavori per gli occupanti che lo hanno poi pagato con mille euro. Le cannonate che ancora si sentono, ricordano che la guerra non è finita è che la liberazione dai russi non è ancora definitiva. E quando c’è tempo per regolare i conti, non ce n’è per pensare a deporre le armi.

Secondo il Servizio statale di emergenza quasi il 30% dell’Ucraina è minato. Le aree considerate pericolose sono cresciute di 10 volte da quando la guerra è scoppiata, coprendo una superficie grande due volte l’Austria. Tra le zone più a rischio ci sono proprio i territori nelle regioni di Mikolayv e Kherson.

I russi se ne sono andati, ma elettricità, acqua corrente e riscaldamento non sono ancora tornati. A Odessa c’è stata una piccola protesta contro il governo, che ha chiesto alle famiglie di lasciare il Paese per i mesi invernali, cercando un riparo a caldo da qualche parte in Europa. E al confine con la Moldavia sono tornate le code in uscita.

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