giovedì 11 aprile 2013
​Seul e Taiwan hanno elevato l’allarme alla soglia di «Watchcon 2», un soffio dalla condizione di guerra. L’attesa del «D Day» non ha paralizzato la vita della capitale del Sud.
LA DIRETTA TWITTER Diario coreano di Giorgio Ferrari
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Lee Dee-jin scruta sospirando i rami ancora spogli dei ciliegi nel grande parco dell’isola di Youido, la Manhattan galleggiante di Seul dove si addensa la ricchezza finanziaria della Corea del Sud. La sua azienda è una delle 123 prese di fatto in ostaggio dal leader nordcoreano Kim Jong-un nel distretto industriale di Kaesong, che ieri ha impedito perfino l’ingresso dei portavalori con le paghe dei 53mila operai. «Se non riaprono in fretta i cancelli e non rimandano gli operai al lavoro – dice – non potrò pagare le banche e farò bancarotta». Nella sua voluttuosa ebbrezza da accerchiamento Kim Jong-un ieri ha ordinato anche la chiusura ai gruppi turistici del valico di confine di Dandong, il più importante tra quelli che la collegano alla Cina. Ma l’attesa del D Day, il giorno in cui il satrapo di Pyonyang secondo molti osservatori avrebbe dovuto scagliare i suoi missili nel cielo del Mar del Giappone in direzione di Tokyo, Kyoto, Yokohama, Nagoya e forse anche nello spazio aereo sudcoreano, non ha paralizzato la vita della capitale, l’ha solo impalpabilmente modificata. «Si vede meno gente in giro – commenta preoccupato il gestore del mercato dell’elettronica di Yongsan – non solo i turisti, anche gli stessi coreani. Non tanto per la paura della bomba di Pyongyang, quanto per l’incertezza del domani». E se l’escalation promessa da Kim Jong-un al momento è rimandata, il dibattito politico a Seul si fa rovente. Chung Mong-Joon, 61enne azionista di maggioranza del colosso Hyundai e deputato del partito ultra-conservatore Saenuri tuona: «La lezione della Guerra Fredda è che contro le armi nucleari la pace possono mantenerla soltanto altre armi nucleari. Pyongyang deve sapere che la Corea del Sud dispone di una simile opzione». Reazione estrema al radicalismo estremista del giovane dittatore nordcoreano, ostaggio a sua volta sia di un ristretto gruppo familiare sia dei generali, molti dei quali – sono testimonianze fornite da fuoriusciti riparati in Cina e poi nella Corea del Sud – hanno maldigerito la sua nomina divina e avrebbero preferito che al potere salisse il fratello. Risultato: forze armate divise e in lotta al proprio interno e un leader troppo giovane e ancora bisognoso di legittimazione. «Per questo fa la voce grossa – spiega Sarah Kim, columnist del Korea Joongang Daily –, perché deve conquistarsi il rispetto dei generali». Ieri il governo di Seul ha accusato Pyongyang di essere all’origine dell’attacco informatico che venti giorni fa paralizzò le tre principali banche del Paese: «Abbiamo raccolto prove schiaccianti che dimostrano come attacco fosse preparato da almeno otto mesi». Nervi tesi, come si vede, e mentre il Dalai Lama rimproverava il correligionario Kim Jong-un («Ha perso la testa»), da Yokohama in Giappone partiva un messaggio via twitter che annunciava un attacco missilistico. Sbadataggine del municipio, ma attimi di angoscia per migliaia di persone.Cala la sera su Seul. Veicoli da trasporto speciali sono stati avvistati nella provincia nord-coreana di Hamgyong Meridionale, che si estende lungo la costa est del Paese e dove già si trovano dispiegati almeno due missili Musudan a medio raggio. Corea e Taiwan hanno elevato l’allarme alla soglia di Watchcon 2 (un passo soltanto dalla condizione di guerra), il Giappone – che da due giorni ha schierato i Patriot – sa di essere sulla potenziale di linea del fuoco. A Youido si preparano per il Cherry Blossom Festival, la celebrazione annuale della fioritura dei ciliegi. Ma è una fredda primavera, al sud anche forsizie e azalee sono in ritardo. E sottile, anche se giudiziosamente dissimulata, serpeggia un’umida e antica paura.
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