sabato 25 agosto 2012
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​Lacrime, commozione e la certezza che è stata fatta giustizia. Ma all’uscita dalla sede del tribunale di Oslo, le opinioni che si sono scambiate coloro che avevano assistito all’ultima fase del processo contro Anders Behring Breivik erano contrastanti. Mentre i rappresentanti dei mass media esteri trovavano «eccezionalmente mite» la condanna a dieci anni effettivi di reclusione, prorogabili a 21 o anche oltre, per l’uccisione di 77 persone, i congiunti delle vittime si sono dichiarati soddisfatti della pena inflitta al pluriomicida. E, a nome dei sopravvissuti alla strage, Bjoern Yver ha dichiarato: «Siamo soddisfatti della sentenza che, pur includendo un’aleatoria possibilità di libertà vigilata dopo dieci anni, è stata fissata in 21 anni ossia nel massimo della pena prevista dal Codice penale norvegese. Resta inoltre ferma la condizione che, allo scadere dei 21 anni, Breivik potrà essere mantenuto in carcere, anche a vita, se egli sarà considerato ancora un pericolo pubblico».Anche la maggior parte dei congiunti delle vittime si è detta soddisfatta della sentenza, e Christin Bjelland, vice-presidente dello “Stöttegruppen 22 juli” (gruppo di appoggio morale 22 luglio) per i congiunti delle vittime, ha sottolineato che, a parte i cavilli giudiziari che potranno essere adottati o meno in seguito, Breivik è stato condannato alla massima pena. E ha aggiunto: «Era estremamente importante per molti dei nostri aderenti che egli venisse definito responsabile della strage. Secondo la nostra legge non si può condannare nessuno all’ergastolo, ma considerando come viene applicata la legge nella realtà possiamo dire che non lo rivedremo mai più in libertà». La pena può infatti essere allungata di cinque anni alla volta se Breivik viene considerato pericoloso. «Vorrei fargli ascoltare – ha continuato Bjelland – la descrizione che mi ha fatto la madre di una ragazza di diciotto anni, uccisa da Breivik con un colpo alla nuca, quando mi diceva di aver pianto per una settimana intera, svuotando, poco alla volta, con continue interruzioni dovute al dolore immane, l’appartamentino che la studentessa aveva appena arredato. Lui si definisce un politico, un ideologo, ma nessuno gli crede e nessuno vuole ascoltarlo ed è importante che tutta la nazione norvegese condanni il suo operato».Lo svedese Ali Esbati, scampato alla strage di Utoya, ha detto di sentirsi sollevato dopo la sentenza «perché è emerso dal processo che Breivik ha agito in una specie di vuoto mentale, lontano dalla realtà, senza alcun contatto con ambienti xenofobi e anti-islamici». Anche Per Balch Soerensen, padre della studentessa diciassettenne danese Hanne Fjalestad, si è detto soddisfatto del verdetto: «Sono contento di non dover più sentir parlare di lui, almeno per i prossimi dieci anni». Il diciannovenne Diderik, figlio di Trine Aaamodt, fu ucciso a colpi di pistola da Breivik nell’isola di Utoya. Sua madre abbozza un sorriso ancora pieno di dolore: «Sono soddisfatta. Finalmente la condanna che mi aspettavo dopo che è stato ritenuto capace di intendere e di volere. I giudici sono stati coraggiosi nel prendere questa decisione e mi consola ancor più il fatto che i membri della corte l’abbiano accolta all’unanimità. In questo modo, non esistono dubbi circa la legittimità della sentenza».Alcuni congiunti delle vittime, ma soltanto un piccolo gruppo, hanno però dichiarato che avrebbero preferito vedere Breivik condannato alla detenzione in un manicomio criminale, perché da là non sarebbe uscito mai più.
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