venerdì 12 giugno 2020
Niente cure anche agli autistici. Il governo della provincia francofona lo ha deciso con un protocollo segreto ad aprile. Le associazioni per i disabili al premier: «Non escludiamo azioni legali»
Il Quebec ha superato anche gli Usa: no ai respiratori ai malati di Sla e Down

Reuters

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In quasi completa segretezza, il governo del Quebec ha distribuito a medici e ospedali un protocollo per l’accesso alle terapie intensive che permette, in caso di carenza di letti, di negare un respiratore a una persona affetta da sindrome di Down, Parkinson, Sla o grave disturbo autistico.
Il documento risale al primo aprile, ma l’Amministrazione di centro-destra della provincia francofona canadese – che ha già fatto da apripista sul suicidio assistito – ne ha finora messo a disposizione del pubblico solo una parte, rifiutandosi di pubblicare i criteri di esclusione stabiliti nelle appendici. “Avvenire” ne ha preso visione grazie alla Société Québécoise de la déficience intellectuelle, Sqdi, che ha di recente lanciato una petizione per chiedere al primo ministro François Legault di rivedere il documento. Solo più di due mesi dopo l’entrata in vigore del protocollo, infatti, l’opposizione liberale del Quebec e le associazioni per i diritti dei disabili hanno preso conoscenza dei parametri che permettono a un medico di scegliere a chi dare la precedenza in caso di scarsità di risorse.
All’inizio di giugno, non appena ne hanno appreso l’esistenza, i deputati liberali hanno denunciato all’Assemblea nazionale la presenza, nel protocollo, di condizioni mediche che rendono di fatto un paziente non ammissibile alla terapia intensiva, definendole una violazione della Carta dei diritti e delle libertà dell’uomo, della Carta canadese dei diritti e delle libertà e dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Il ministro della Salute, Danielle McCann, non ha negato l’esistenza dei criteri di esclusione, sostenendo però che sono applicati solo in situazioni «estreme», che non si sono ancora presentate nella provincia.
«Se hai un deficit cognitivo, come la sindrome di Down o un grave disturbo autistico, potresti dover lasciare il tuo posto a un’altra persona», spiega la deputata Jennifer Maccarone, che ha due figli autistici. Il documento elenca fra i criteri di esclusione «una grave compromissione cognitiva e l’incapacità di svolgere le attività quotidiane e domestiche in modo indipendente a causa di una malattia progressiva», nonché malattie neuromuscolari, come il Parkinson e la sclerosi laterale amiotrofica.
«Non escludiamo azioni legali», afferma Anik Larose, direttore esecutivo della Sqdi, che sottolinea come qualsiasi criterio basato sulla valutazione dell’autonomia funzionale di un individuo, come la sua capacità di vestirsi e mangiare da solo, pone importanti questioni etiche e legali. «Indipendentemente dal fatto che si sia o meno in un’emergenza sanitaria, le decisioni cliniche non dovrebbero mai essere prese sulla base di giudizi di valore sull’utilità sociale di un individuo o su pregiudizi sulla sua scarsa qualità della vita», continua.
Le associazioni dei disabili considerano, inoltre, problematico il «punteggio di fragilità clinica» previsto nel testo per misurare le probabilità di sopravvivenza di un paziente.
«Un punteggio di fragilità clinica di 7 o più significa che la persona è totalmente dipendente, qualunque sia la causa, fisica o cognitiva», si legge nel protocollo. Larose fa notare che una persona con sindrome di Down che ha difficoltà a articolare le parole o ha limiti motori otterrà un punteggio di fragilità elevato e sarà immediatamente esclusa dalle cure intensive. «Le capacità funzionali delle persone con un disturbo dello spettro autistico sono compromesse, senza ridurre la loro speranza di vita», aggiunge il direttore esecutivo della Federazione dell’autismo del Quebec, Luc Chulak.
Negli Stati Uniti, le organizzazioni per la difesa dei disabili hanno sfidato con successo il protocollo dell’Alabama che negava i respiratori alle persone con ritardo mentale o demenza da moderata a grave. Ma negli Usa restano almeno dieci gli Stati che, in caso di carenza di letti o respiratori, fanno passare «in fondo alla fila» chi necessita di «una maggiore quantità di risorse», o ha ricevuto diagnosi specifiche, fra le quali la demenza.

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